Un Preciso Obiettivo Principale

Avere uno scopo preciso è essenziale per riuscire,  qualunque sia  la nostra idea di successo. Tuttavia sbaglieremmo di grosso se pensassimo che per raggiungere il nostro obiettivo non abbiamo bisogno di altre conoscenze rispetto a quelle che abbiamo adesso. Nel lungo e arduo compito di liberarmi di parte della mia ignoranza e aprirmi la strada ad alcune verità che servono nella vita ho incontrato persone, anche se in buona fede erano sicure di essere sagge e con scritto sulla fronte “Povero stupido” e persone sempre in buona fede sicure di essere dei santi con scritto sulla fronte “Povero Peccatore”.

Questo, tradotto nel linguaggio quotidiano, significa che nessuno di noi, proprio per la natura mortale, ne sa e ne saprà mai a sufficienza su quanto serve per vivere sani e goderci la vita. Umiltà e modestia sono i requisiti del successo. Se non diventeremo umili di cuore , non potremo pretendere di avvalerci delle esperienze e dei pensieri altrui.

Non vuole essere una predica. Anche se le prediche, per quanto noiose e aride, possono essere utili se ci inducono a riflettere sulla nostra ombra interiore e su chi siamo veramente, così da farci intuire anche approssimativamente quanto siamo piccoli e superficiali.

Nella vita il successo personale dipende in larga misura da quello che pensiamo.

Il luogo migliore per investigare su noi stessi è la mente. Basterebbe stilare un inventario il più accurato possibile di quello che siamo veramente. Una volta che ci conosceremo a fondo (se mai ci riusciamo) ne potremo sapere abbastanza anche su gli altri.

Raggiungere l’obiettivo principale è soprattutto una questione di allenamento.

Immaginiamo che dobbiamo addestrare un cavallo ad assumere un certo passo facendolo saltare ripetutamente oltre ostacoli e barriere, finché ciò non diventa per loro una facile abitudine. Allo stesso modo dev’essere addestrato il nostro cervello umano che, per svilupparsi, ha bisogno di determinate motivazioni e obiettivi. Abituandoci a questo ci accorgeremo presto che la mente diventerà come una calamita capace di attirare le idee giuste che circolano nell’etere.

Questo modo di ragionare permette di “sapersi vendere” nelle mutevoli circostanze della vita incontrando così la minima quantità di frizioni e opposizioni con le persone che veniamo a contatto. Imparando così a organizzare e sfruttare gran parte delle verità che trascura o ignora la maggior parte della gente che trascorre l’esistenza nella mediocrità.

Ciò che ho voluto dire è spiegato bene in questoeditoriale apparso sul “The America Magazine”:

Una sera di pioggia, Carl Lomen, il re delle renne alaskane, racconta al direttore una storia vera che da tempo la ossessionava. Così decise di tramandarla:

Alcuni anni orsono, un eschimese che viveva in Groelandia, partecipò a una delle spedizioni americane al Polo Nord. In seguito, come ricompensa per l’ottimo servizio reso, lo portarono a New York per una breve visita. Davanti ai miracoli delle cose viste e ascoltate in città, egli reagì con il più straordinario stupore. Una volta tornato al villaggio natio, prese a riferire a ogni indigeno degli edifici che sfidavano le altezze del cielo, delle auto che si muovevano come case, secondo lui lungo i sentieri cittadini, delle persone che vivevano al loro interno mentre si spostavano, di ponti giganteschi, di luci artificiali e di tutti gli altri annessi della vita metropolitana.

La gente lo guardava con freddezza e lo lasciava senza commentare. Nel giro di poco tempo, l’intero villaggio l’aveva soprannominato “Sagdluk”, cioè “il Buggiardo”, nome che si portò con vergogna fino alla tomba. Il suo nome originario e stato dimenticato del tutto molto prima del decesso.

Quando Knud Rasmussen (esploratore e antropologo groenlandese).compì il suo viaggio dalla Groenlandia all’alaska, era accompagnato da un eskimese di nome Mitek (Edredone), il quale poi visitò New York e Copenaghen, ove vide molte cose per la prima volta, rimanendone fortemente impressionato. In seguito dopo essere tornato i Groenlandia, ricordò la tragedia di Sagsluk e pensò bene di non raccontare la verità. Si sarebbe limitato a narrare gli aneddoti che i compatrioti avrebbero capito, salvando quindi la sua reputazione. Così, riferì che il dottor Rasmussen teneva una canoa sulle rive di un grande fiume, l’Hudson, e che tutte le mattine usciva  pagaiando per andare a caccia. Catturavano numerose foche, oche e anatre, e naturalmente si erano divertiti tanto. Agli occhi dei suoi compatrioti, Mitek è un uomo onestissimo e i vicini di igloo lo trattano con raro rispetto.

La strada di chi divulga la verità è sempre stata lastricata di pietre aguzze. Socrate dovette bere la cicuta, Cristo è stato crocifisso, santo Stefano lapidato, Giordano Bruno arso vivo, Galileo terrorizzato al punto di costringerlo a ritrattare le sue lampanti verità. Il sentiero insanguinato della storia è rintracciabile in tutte le epoche.

Vi è qualcosa nella natura umana che ci fa destare dall’impatto delle idee innovative. Tutti odiamo che vengano messe in discussione le credenze e i pregiudizi perpetuati dalle generazioni precedenti. Raggiunta la maturità tanti si ibernano, entrano in letargo e cercano di sopravvivere con le loro vecchie credenze. Se nella nostra tana penetra un’idea nuova, ci svegliamo dal sonno invernale solo per ringhiare. Ma ci sono motivi validi perché la persona media che vive nella nostra civiltà debba chiudere il cervello alle prospettive originali che emergono col progresso. Eppure lofa. Non c’è niente di più tragico e comune dell’inerzia mentale.

Un vecchio contadino usava terminare le sue preghiere con quest’invocazione:

“Oh, Signore, concedimi di avere una mentalità aperta”.