Bullismo: la regola della reciprocità

 “Se da piccoli incoraggiamo i bambini con esempi positivi, da adulti ci ringrazieranno”.  (Grazia Pollicoro)

 Il bullismo, ormai, è parte di una cultura. È una modalità, violenta, utilizzata come se si trattasse di un “metodo”, in molte comunità: dalla scuola alla famiglia, passando finanche dal Parlamento. Si può affermare, senza alcuna remora, che il bullismo fa parte del nostro modo di educare. Perché quello che fanno e dicono le bambine, i bambini e gli adolescenti non è mai solo ciò che nasce dentro di loro.

Si tratta di ciò che guardano, ascoltano, annusano, ingurgitano e toccano con mano nelle loro famiglie, attraverso il cattivo esempio dei genitori e dei fratelli.

La mela non cade mai tanto lontano dall’albero

Un bambino che urla, al novantanove per cento, è figlio di genitori che gridano. Un insegnante che disistima continuamente i suoi alunni, quasi sempre è stato uno studente che ha avuto problemi di autostima, anche a scuola. Un politico che impreca, fa gesti volgari e utilizza la violenza anche in Parlamento è un militante di tali cattivi comportamenti e di cattivi maestri.

Un mito da sfatare è che la scuola genera i bulli. Semmai è uno dei pochi luoghi dove vengono scoperti e in molti casi corretti, a differenza di spazi come la strada e l’assistere anche a certi talk show, dove la violenza verbale e fisica, l’aggressività, la prevaricazione e il conflitto da parte di politici, direttori di testate, giornalisti e opinionisti i cui comportamenti spesso e volentieri sfociano nella maleducazione e nella rissa. Sarebbe bene che gli adulti facessero in modo di evitare, ai bambini e gli adolescenti, la visione di tali programmi così indecenti e diseducativi.

Qual è l’“antidoto” a tutto questo?

Le tre grandi fondamenta che stanno alla base di una buona educazione: l’autostima, l’autonomia e la creatività. Sono queste le “medicine” che la famiglia e poi la scuola e qualsiasi “agenzia” educativa, compresa la strada, devono offrire.

In questo momento storico la nuova generazione ha perso autorevolezza (da non confondere con autorità) verso i propri figli. È importante assumersi la responsabilità da educatori, significa essere padri, madri, insegnanti ecc. che dettano le regole.

Quando non si osservano le regole, vanno applicate le sanzioni; ciò implica l’educare a quel valore che basterebbe a rendere migliore tutte le comunità umane: La reciprocità.

Ti do, se tu mi dai. E non il premio, la paghetta, l’auto, la moto… Ti do il mio sacrificio di padre e di madre, che va a lavorare, spaccandosi la schiena e altro per te, se tu, in cambio, mi offri la reciprocità del tuo lavoro di figlio: lo studio.

Basterebbe questo per rendere i nostri figli veri “galli”, piuttosto che pollastri che si barcamenano in strada, nei locali della movida e nelle aule, senza porsi alcun problema relativamente ai loro comportamenti, perché tanto ci sono mamma e papà che li giustificano, affermando anche che “son cose che abbiamo fatto anche noi alla nostra età”.

Ragazzate, bravate, leggerezze ecc. sono solo alcuni termini con cui si è assuefatti a convivere. Non accorgendoci che ci siamo mutati in tanti bulli. Comunque polli.

I “no”, come i sì, sono una dimostrazione di attenzione, di amore, di partecipazione alla vita dei nostri figli. I ragazzi vogliono ancora che i genitori facciano i genitori, che gli insegnanti ci tengono a loro. Vogliono che ci si interessi a loro.

“I nostri figli desiderano appartenerci, anche se non lo sanno o non lo percepiscono e persino quando le loro parole o azioni sembrano indicare l’opposto”.

 È necessario essere presenti ma non soffocanti, vigili e non sorveglianti, modelli e non modellanti, per essere educatori credibili.

Ispirato da “E’ bravo, ma potrebbe fare di più” di Giancarlo Visitilli edito Progedit

Giovanni Matera

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