🎯Non sminuiamo il loro potenziale.
Si parla tanto di cultura, ma non si parla mai di cultura imprenditoriale.
Sembra che il nostro sistema scolastico sia fatto su misura. Alimenta se stesso (a uso e consumo proprio), cioè pensando solamente al posto statale o fisso: “Fai quello che ti diciamo e farai carriera”. Ma, come sappiamo, i posti statali sono limitati e addirittura in diminuzione e il posto fisso, come lo avevamo conosciuto in passato, non c’è più.
Partecipo spesso e organizzo seminari socio-culturali e formativi, dove immancabilmente viene fuori il problema dei nostri figli i quali (si dice) saranno costretti a espatriare, se vorranno avere un futuro lavorativo, altrimenti finiranno nei call center. Ma sarà proprio così?
Io credo, invece, che ci sarebbe da porsi qualche domanda: “Perché nel nostro paese nascono sempre meno imprenditori e, di conseguenza, meno aziende? Sarà solo un problema di tasse, burocrazia o c’è qualcos’altro che non va nel nostro sistema?”. Di cose che non vanno in Italia, sono ormai tante ma noi, per economia del discorso, citeremo solo il sistema scolastico. L’offerta formativa della nostra Scuola non prevede neanche un minimo di avviamento dei ragazzi al mondo imprenditoriale e del lavoro. E anche il recente provvedimento “Alternanza scuola lavoro” del Ministero dell’Istruzione pare stia facendo fatica ad affermarsi, sia perché le aziende strutturate ad accogliere i nostri ragazzi sono poche, sia anche perché tale provvedimento è visto dai docenti più come un ulteriore adempimento che come un’opportunità per i propri alunni.
Al termine del percorso formativo scolastico, i nostri ragazzi non sanno nulla su come comunicare con gli altri, come cercare o crearsi un lavoro. In poche parole, non sanno un fico secco su come diventare imprenditori di se stessi. Spero che il mondo della scuola sia inconsapevole o in buona fede poiché sembra un “tantino” distratta, se non addirittura indifferente verso la cultura imprenditoriale. Basta guardare i libri di testo: non c’è un solo rigo che la riguarda. Si ha l’impressione che il mondo della scuola non si renda conto che tutto quello che ci circonda è stato creato da un’idea, che poi è stata sviluppata da persone con queste caratteristiche:
Desiderio di autorealizzazione: Spinta verso il successo.
Propensione al rischio: Capacità di assumersi grandi responsabilità.
Carisma e Leadership: Capacità di prendere decisioni strategiche.
Creatività e Innovazione: Spirito d’iniziativa.
Capacità relazionali: Socievolezza, estroversione, predisposizione all’ascolto e a fare gruppo.
Self-efficacy (auto-efficacia): fiducia in se stessi.
I programmi scolastici non prevedono queste cose ma soltanto una serie di materie e nozioni da imparare a memoria. E allora succede che i ragazzi non sviluppano il loro senso critico, perdono d’iniziativa e smettono di sognare. Quanti di loro, laureati a pieni voti anche in prestigiose università, finiscono nei call center o a fare lavori umili e sottopagati? Tanti. Troppi.
I nostri figli sono obbligati sin da piccoli a seguire un percorso scolastico preconfezionato dallo Stato uguale per tutti, pur sapendo che i nostri ragazzi sono tutti diversi e molti di loro potrebbero avere le caratteristiche di cui accennavo prima, che non sono comprese nel programma scolastico. Con questo sistema il messaggio che arriva ai nostri figli è: Se rispondi “bene” e adotti comportamenti che piacciano all’insegnante e ti uniformi al suo modo di pensare, otterrai dei voti più alti. E così, nella vita, di fronte a un superiore, quel ragazzo farà tutto quello che gli sarà ordinato, sicuro di poter fare carriera. Al contrario, se un ragazzo non si uniforma a questo sistema, a questo modo di pensare, ed ha invece delle caratteristiche non contemplate nei metodi di valutazione vigenti, sarà puntualmente ritenuto “non ammesso” e inadeguato, nonostante la natura gli abbia donato degli ottimi talenti.
Per meglio comprendere questo problema nient’affatto trascurabile, ho trovato una piccola storia, tra le tante, tristemente emblematica di un imprenditore che da bambino era stato ritenuto, secondo il nostro sistema scolastico, “definitivamente irrecuperabile”.
Studiare non mi ha mai appassionato, il motivo vero non lo saprò mai. In realtà sono curioso, mi piace scoprire, qualsiasi cosa vedo crea curiosità in me. Non sono stato uno che emergeva, non prendevo grandi voti né grossi risultati. Nel mio ufficio ho un foglio scritto, dagli insegnanti ai miei genitori, nel quale spiegano che: “Il ragazzo non è particolarmente portato né per la comunicazione né per socializzare. Si consiglia di non fargli continuare gli studi e di indirizzarlo verso un lavoro manuale. Una bottega dove non potrà avere grandi responsabilità e fare solo ciò che gli sarà ordinato”.
Il protagonista di questa vicenda si chiama Pierangelo Maren, patron della Novaltec Group, cinquantadue anni: immagina, disegna e produce, insieme con altre settantadue persone, macchine e attrezzature per la pulizia delle aziende. Sa confrontarsi con gli ingegneri e i tecnici che lavorano per lui, esporta i suoi prodotti in tutto il mondo ed è azienda leader, nel suo settore, in Italia.
Di storie come questa di Pierangelo ce ne sono davvero tante. La famiglia, la scuola, la società dovrebbero individuare i talenti dei bambini e aiutarli a svilupparli nel migliore dei modi, anziché giudicarli e invalidarli con frasi “letali” come “Questo non lo puoi fare”, “Stai sbagliando” ecc. Se alcuni bambini non si comportano come tutti gli altri, non sono un problema ma una ricchezza; e noi non dobbiamo sminuire la loro autostima e il loro potenziale.
Giovanni Matera
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