Il pensiero governabile…

“La postmodernità è lo scenario nel quale germogliano e crescono in maniera impressionante il controllo e la sorveglianza delle persone.”  – Massimo Ragnedda

L’epoca verso la quale stiamo correndo in maniera folle e sconsiderata, è l’immediata conseguenza della modernità e della sua crisi. La postmodernità nasce già intrinsecamente nella sua essenza come involuzione della modernità e come decadenza culturale, politica, sociale ed economica di essa. La cornice di riferimento è la nascita di quella che Zygmunt Bauman (sociologo e filosofo polacco) ha definito la “società liquida”. L’elemento fondamentale è l’incertezza.

Questo sistema crea effetti particolari e unici: globalizzazione, l’industria della paura, lo smantellamento delle sue sicurezze e una vita liquida sempre frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusi.

Dai rifiuti industriali si passa così ai rifiuti umani. L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estranietà al sistema produttivo o al suo non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità.

Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè se non riesce a sentirsi accettato nel “ruolo di consumatore”. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano. La società, pertanto, crea i rifiuti dai prodotti in eccesso e i rifiutati come individui di scarto per il mancato processo di omologazione.

Ecco che avanza il postmodernismo caratterizzato da un’economia estesa globalmente, invasa dalla pubblicità e dalla televisione che agiscono come fattori condizionanti, e costellata da un enorme flusso di notizie ormai incontrollabili provenienti dal Web.

Se cercassimo di fare uno sforzo di immaginazione, in questa cornice appena descritta, potremmo dipingere un quadro di una società a metà strada tra il romanzo “1984” di George Orwell (scrittore, giornalista, saggista, attivista e critico letterario britannico) e la pellicola “Minority Reporter” di Aldous Huxley, (Scrittore e filosofo britannico) entrambi nella doppia versione romanzata e cinematografata.

Proviamo a immaginare una vita senza privacy, una vita trasparente, dove ognuno può sapere tutto di un singolo individuo. Un incubo dove tutto viene tracciato e registrato da quando uno mette il piede fuori dal letto fino a quando vi ci ritorna. In mezzo un’intera giornata dove ogni azione, o quasi, lascia una traccia indelebile. Il cellulare, il navigatore satellitare, il computer, le telecamere, il bancomat: ogni singolo momento è monitorato.

Qualcuno potrebbe scandalizzarsi, gridando all’esagerazione. È curioso, invece, notare come ci siano alcune situazioni reali che spesso vanno ben oltre a quelle prospettate nelle trame narrative di Orwell e Huxley. Tutto questo non può essere vero perché in fondo la nostra vita negli ultimi quarant’anni è migliorata, questo scenario può essere solo frutto della fantasia, non può essere la realtà. Invece, non è così: la realtà potrebbe superare la fantasia.

In verità, il controllo, la sorveglianza sociale e il raggiungimento di un “Pensiero governabile” non sono fenomeni recenti. Sin dalla comparsa dell’uomo sulla terra la naturale propensione a vigilare l’altro, il vicino, il famigliare o il nemico è sempre stata presente.

Edward Bernays, nipote di Freud, descrive nell’incipit della sua opera “Propaganda” alcuni meccanismi pericolosi ma ancora attuali:

La manipolazione cosciente e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse è un elemento importante in una società democratica. Coloro che regolano i meccanismi nascosti della società costituiscono un governo invisibile, che rappresenta il vero potere dominante. Noi siamo governati, le nostre menti vengono modellate, i nostri gusti formati, le nostre idee ispirate in gran parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questo è il risultato logico del modo in cui la nostra società democratica è organizzata. Quasi tutte le azioni della nostra vita: in politica, negli affari, nella nostra condotta sociale, nelle nostre valutazioni morali, sono dominate da un numero relativamente piccolo di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la mente delle persone”.

 I nuovi sistemi di sorveglianza elettronica sono arrivati a invadere lo spazio personale dell’individuo, ma c’è un altro elemento centrale da mettere in evidenza: gli stati hanno perso una delle loro prerogative storiche e il controllo è passato nelle mani delle sempre più potenti multinazionali che si nutrono di informazioni e di dati anche per vendere prodotti.

Ecco che ritornano in pieno le caratteristiche della società postmoderna, pervasa dalla paura, dall’insicurezza, dall’incertezza, e dalla precarietà. L’individuo abbandonato dalle istituzioni, si è trasformato da cittadino in consumatore costantemente controllato e sorvegliato.

La paura è certamente l’elemento fondamentale sul quale far leva per spingere la popolazione a uniformarsi, azzerando, di fatto, il pensiero critico. La cosa più preoccupante, però, è un’altra: siamo noi, per nostra volontà, a mandare al massacro il nostro diritto alla privacy. O forse acconsentiamo a perdere la nostra privacy perché lo consideriamo un prezzo ragionevole da pagare in cambio delle “meraviglie” che ci vengono offerte.

Fino a che non diventeremo coscienti del nostro potere, non saremo mai capaci di ribellarci. Solo quando ci saremo liberati potremo diventare coscienti del nostro potere.

Chiudo questo articolo con una frase tratta dal romanzo “1984” di George Orwell: “Non è tanto restare vivi quanto restare umani che è importante”.

Giovanni Matera

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