Alzarono tutte e due le gambe e si ritrovano per terra
“Non riconosciamo più il mondo in cui viviamo. Continuiamo a eleggere parlamenti e governi ma le decisioni che contano vengono prese altrove. Assistiamo attoniti alla distruzione della classe media, mentre le frequenti crisi, da quella finanziaria del 2008, alle torri gemelle del 2011, al Covid 19 del 2020 a quella energetica/ucraina (ancora presente), passando per fenomeni disgreganti come la cancel culture, scuotono le nostre certezze, accentuano il nostro smarrimento. Ci sentiamo impotenti ma non capiamo perché”.
(Marcello Foa)
Da alcuni anni percepisco condizionamenti sociali, economici e politici in sé invisibili, eppure ineludibili. Leggo i giornali, ascolto i politici, osservo, ma non ho risposta. E il disaggio aumenta e più ci rifletto e più il disaggio aumenta. Osservo la nuova generazione i “millennials” o “generazione Z” e li vedo belli e integrati nel “sistema”. Che cosa ci sta succedendo? Che cosa stiamo diventando? Mi rendo conto di non essere solo: imprenditori, scienziati, avvocati, percepiscono a loro volta che qualcosa sta sfuggendo di mano. Mi pongo domande sempre più semplici ed essenziali: siamo ancora padroni del nostro destino? Chi ci governa davvero? Domande che dovrebbero essere superflue in democrazia, ma che non lo sono più. Eppure non siamo certo in dittatura. Eppure gli Stati Uniti, con cui abbiamo condiviso oltre settant’anni di libertà, sono ancora nostri amici e i nostri principali alleati. Tutto vero, ma qualcosa è cambiato. Già, ma cosa?
Il nostro recente passato è caratterizzato da due fasi storiche: quella che va dalla fine della seconda guerra mondiale, alla dissoluzione dell’Urss nel dicembre 1991 e quella della globalizzazione dal 1992 al 2022. Della prima fase sappiamo tutto. La società occidentale era all’epoca credibile, imperniata su una classe media sempre più ampia e inclusiva, capace di aggregare un proletariato che col tempo si sviluppava ed evolveva, anche economicamente, garantendo concretamente un ascensore sociale. Le istituzioni nazionali erano sovrane, le tensioni venivano riassorbite bilanciando capitalismo e istanze sociali, affermazione dell’individuo e interessi della collettività.
Non era certo un mondo perfetto, come sappiamo, ma era autentico. Nel trentennio successivo, quello della globalizzazione, l’era della coerenza tra ideologia, realtà e propaganda è stata soppiantata da quella degli squilibri politici, economici, sociali e identitari. Ma non ce ne siamo accorti.
Per molti anni abbiamo continuato a osservare il mondo con i criteri di prima, senza renderci conto che stavamo cambiando. Solo che nessuno ha chiesto, a noi cittadini, se fossimo d’accordo. Pensavamo di essere padroni del nostro destino mentre altri, in luoghi che nemmeno immaginavamo e che non necessariamente coincideva con i governi e parlamenti, decidevano per noi. Ci siamo fatti ipnotizzare in un contesto storico rivoluzionato. Come è stato possibile, vediamolo insieme.
Schematizzando, il processo si declina così: in consensi internazionali, quale per esempio il World Economic Forum “fondazione senza fini di lucro con sede a Cologny, vicino a Ginevra, in Svizzera, nata nel 1971 per iniziativa dell’economista ed accademico Klaus Schwab), le élite pubbliche e private riflettono sui destini del mondo, ma al contempo individuano le possibili soluzioni. Poi passano all’azione
Preparano l’opinione pubblica con un’adeguata campagna di comunicazione (solitamente ammantata di buone intenzioni, di cause nobili e di altruismo, ovvero facendo passare il messaggio che si agisce per il bene dell’umanità o per porre rimedio a un’incombente tragedia).
Successivamente, si attiva la governance internazionale, secondo Davis “tipicamente attraverso un distributore di politiche che funge da intermediario, come il Fmi (Fondo Monetario Internazionale) o l’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) che ha il potere di indurre i governi nazionali a uniformarsi alle decisioni prese”. Quindi sulla scena appaiono i partner privati, top manager e grandi aziende dichiarano la volontà di contribuire al successo di questa buona e onorevole causa (che in realtà essi stessi hanno contribuito a ideare) e offrono la loro collaborazione ottenendone, ovviamente, anche un ritorno economico, oltre che strategico e di sistema.
I media, stante l’importanza delle fonti, rilanciano questi temi creando consapevolezza nelle masse. In sintesi: le organizzazioni internazionali, i governi nazionali, i grandi gruppi economici, l’opinione pubblica convergono nella stessa direzione. E le decisioni ricadono sui popoli, che restano inconsapevoli del processo.
Questo è il tanto citato “sistema internazionale basato sulle regole”. In questo modo il partenariato globale pubblico/privato controlla contemporaneamente molte nazioni senza dover ricorrere a veri e propri atti legislativi.
La nuova élite è efficiente, programmatica e cinica, infatti si appropria disinvoltamente sia dell’etichetta di destra sia di quella di sinistra per promuovere la stessa identica agenda, che non è basata sulla separazione fra pubblico e privato, bensì sulla sua commistione.
Il sistema funziona all’incirca così: lavori per il governo, poi per un’azienda privata e insegni in una università, o svolgi ricerche per un “centro studi”, entrambi finanziati o da quell’azienda o da investitori di quel settore. Diventi un docente o un pensatore e vai ai “talk show”, scrivi editoriali, influenzi l’opinione pubblica in veste di esperto indipendente, perché il legame indiretto con le aziende non viene rivelato. Poi magari torni al governo come consigliere e i legami con quell’azienda non li recidi, semmai, se sei costretto, li sospendi per riprenderli appena possibile. Non violi la legge sul conflitto di interessi e sulle lobby, la eludi.
Dunque, quando ricopri un incarico pubblico, difficilmente sarai indipendente e imparziale, dedito scrupolosamente al bene pubblico, ma sarai indotto a promuovere anche gli interessi della rete cui appartieni. Ma la credibilità del sistema è compromessa.
La domanda è: Chi è responsabile? Questa domanda, troppo spesso resta sospesa nell’aria. In un sistema contaminato tra pubblico e privato, in cui i poteri restano solo formalmente agli Stati, in cui si perseguono obiettivi che non sono nazionali ma di governance internazionale e in cui troppi mercati sono dominati da pochi grandi giocatori, individuare responsabilità e processi decisionali diventa molto complicato, quasi impossibile.
Se c’è responsabilità, è in luoghi che non sono socialmente rappresentati né accessibili pubblicamente. L’élite è sfuggente e tende a proteggersi e ad autoalimentarsi.
“Talvolta è possibile trasformare una maggioranza in una società sportiva: alzate la gamba destra e loro la alzano, alzate la gamba sinistra e loro la alzano, alzate tutte e due le gambe e loro si ritrovarono con il sedere per terra”.
Se l’èlite riuscirà oppure no a completare l’opera già iniziata, dipenderà soprattutto da noi.
Giovanni Matera
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