Il “sistema” ha bisogno di dipendenti non di “concorrenti”
“E il deserto, finalmente, ridiventerà giardino, e nel giardino fiorirà l’albero della giustizia.” Don Tonino Bello.
“Per la terza volta, a centocinquant’anni dall’unità d’Italia, la popolazione del Sud diminuisce. Una prima volta nel 1867, dopo l’invasione piemontese con la guerra al brigantaggio. Una seconda volta nel 1918, con i meridionali mandati a morire nelle trincee della prima guerra mondiale. La terza volta, nel 2012, quando i morti hanno superato i nati. Senza nessuna guerra ma con cifre da bollettino da guerra. Il disastro continua, in cui i vecchi muoiono, i bambini non nascono, i giovani vanno via. A spopolarsi sono soprattutto i piccoli paesi da 5.000 abitanti delle aree più interne. Ma anche nei paesi con più abitanti, appena laureati i nostri ragazzi vanno via, anzi alcuni non sono mai tornati.” Lino Patruno.
La situazione italiana in sintesi.
Disastro demografico. Già oggi gli anziani con più di 76 anni sono quanti i bambini che nascono.
Disastro sociale. Ci saranno sempre meno lavoratori al Sud, per sostenere con i loro contributi la spesa pensionistica e non solo.
Disastro politico. Il peso del Sud si ridurrebbe quanto più diminuirà la sua popolazione; quindi anche la sua rappresentanza nel Parlamento italiano ed europeo e nelle associazioni di categoria si ridurrà.
Disastro economico. Il Sud si spopola tornando al tempo della valigia di cartone verso l’Italia settentrionale ma soprattutto verso l’Europa, solo che questa volta ad andare via sono laureati e professionisti.
Disastro del silenzio. Nel discorso per la fiducia alla Camera e al Senato (febbraio 2014), il capo del governo Renzi non ha mai citato il Sud. Secondo Adriano Giannola, presidente della Svimez, l’esito finale sarà la scomparsa della Questione Meridionale e la scomparsa del mezzogiorno stesso. Il risultato dell’alleanza fra il peggior Sud e il peggior Nord per non muovere niente, che è finito col darci la peggiore Italia. Un danno soprattutto per il Sud, sommato ai danni che già subisce con leggi che sembrano avvantaggiarlo e invece finisco per avvantaggiare il Nord. Naturalmente i politici del Sud in parlamento votano tutto quello che gli dicono di votare per “disciplina di partito”.
Il risultato è che per fare impresa al Sud, ci vogliono ben quarantasette autorizzazioni. In generale, il tempo per aprire un’attività è il triplo rispetto al Centro Nord. Giorgio Squinzi, presidente dalla Confindustria, sostiene che non dipende solo da una mancanza di cultura imprenditoriale ma soprattutto dalla pubblica amministrazione farcita con personale obsoleto che moltiplica i tempi per il rilascio di una qualsiasi autorizzazione.
A complicare ulteriormente le cose vi è la disperata ricerca del consenso elettorale nell’immediato, da parte dei nostri politicanti la cui ristretta visione non gli consente di investire in opere e servizi importanti per la comunità, poiché trattasi di interventi a lungo termine che non portano voti a breve.
Come si sa, lo Statista pensa alle future generazioni; il politico pensa più alla prossima campagna elettorale.
Adriana Poli Bortone, a lungo parlamentare italiana e sindaca partendo dalla sua Lecce, sottolinea, è vero che c’è una cattiva coscienza contro il Sud, ma c’è anche una cattiva coscienza del Sud: nessuno ha mai impedito al mondo industriale di mettersi in rete con le università del Sud, investire nei centri di ricerca, orientare la formazione legandola al mondo del lavoro. Nessuno ha mai impedito alle Regioni meridionali di mettersi insieme in progetti comuni utilizzando i fondi europei, altra dolente nota.
Il Sud paga la presenza delle mafie col sangue degli uccisi e con la depressione della sua economia, il Nord lo condanna ma con le mafie ci fa gli affari.
Non è un caso che degli oltre 94.126 italiani espatriati nel 2013 secondo i dati della Fondazione Migrantes (cittadini cancellati per trasferimento) oltre la metà va via dal Nord, cioè la parte più ricca del paese. Prima destinazione: Inghilterra. Poi Germania, Svizzera, Francia, Argentina, Brasile, Stati Uniti. Per una volta anch’essi sudisti, meridionali dell’Europa settentrionale. Quasi la metà non torna più ci dice Luigi Nicolais, presidente del C.n.r. (consiglio nazionale delle ricerche) Fuga della meglio gioventù, scrive allarmata la stampa del Nord. Fuga dei cervelli, proprio quella classe dirigente che domani potrebbe aiutare l’Italia a uscire dalla crisi.
Il fatto è che è il mercato a creare disincentivi, spiega massimo Mucchetti, ex giornalista. La globalizzazione brucia milioni di funzioni produttive ieri destinate ai laureati. Queste funzioni vengono trasferite ai paesi emergenti acculturati, senza parlare di milioni di funzioni produttive bruciate dalle tecnologie. È stato l’allora ministro del lavoro, Enrico Giovannini, a dire che i giovani italiani (e quelli del Sud in particolare) sono “poco occupabili”.
A nome di tutti gli “Inoccupabili”, ha risposto Massimo Gramellini, giornalista la Stampa di Torino dicendo: Quella classe dirigente uscita dalle assemblee del sessantotto, che oggi irride e disprezza i suoi figli, è la stessa che ha tolto risorse all’istruzione, alla ricerca e alla formazione. Che si è rifiutata di indirizzare le scelte di politica economica verso la cultura, il turismo e l’innovazione tecnologica. Che ha ammazzato il merito, praticando in prima persona l’appartenenza a qualche cordata: per quale ragione i ragazzi dovrebbero credere in un sistema che non privilegia i più bravi ma i più ammanicati. Gli investitori stranieri si tengono alla larga dall’Italia non perché considerano i nostri figli dei caproni, ma perché si rifiutano di allungare bustarelle ai loro padri o in alternativa, di aspettare tre anni per avere un bollo che altrove ottengono in tre ore.
Oltre a essere poco occupabili per le ragioni già dette, il nostro sistema formativo continua a preparare i nostri ragazzi solo e solamente per partecipare ai concorsi anziché preparali a presentare dei loro progetti, quindi educarli a una mentalità imprenditoriale.
Il problema sta nel fatto che nuovi laureati e diplomati non possono trovare lavoro nelle aziende italiane, perché come tutti sappiamo, sono aziende a carattere familiare e comunque la maggior parte è formata da tre a quindici dipendenti e non può assumersi l’onere di una tale figura come invece possono fare in tutta Europa, dove le aziende sono strutturate diversamente. Il nostro sistema formativo dovrebbe ascoltare e capire cosa serve al nostro sistema produttivo per far sì che questi ragazzi non facciano la valigia e vadano via. Va benissimo andare via per acculturarsi e fare esperienza ma l’importante che, come ha detto Lino Patruno nel suo libro di recente pubblicazione cui mi sono ispirato per questo articolo: “Se i giovani del Sud per andare a conoscere il mondo devono avere “Piedi leggeri”, essenziale è che abbiano “ali tornanti” per il percorso inverso”.
Giovanni Matera
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