Educare all’utilizzo dei social, non vietare.

Vietare non è la soluzione. Ascoltare, comprendere e guidare sì. Genitori, insegnanti, professionisti: il cambiamento è parte da noi. Possiamo essere il punto di riferimento che aiuta i ragazzi a sentirsi compresi, non soli.

Viviamo in un’epoca in cui il digitale permea ogni aspetto della nostra vita. I social network, in particolare, rappresentano per gli adolescenti un luogo di incontro, di scoperta e di costruzione della propria identità. Di fronte a questo scenario, molti adulti si interrogano su quale sia il modo migliore per accompagnare i giovani nel loro percorso di crescita: vietare o educare? Matteo Lancini, nel suo libro “Chiamami adulto“, ci offre una prospettiva illuminante: la chiave non è il controllo rigido, ma la capacità di stare in relazione con i ragazzi, ascoltandoli e supportandoli senza giudizi affrettati.

Il digitale come spazio di relazione e costruzione dell’identità. Gli adolescenti non vivono i social come un passatempo futile o una perdita di tempo, ma come uno spazio essenziale per la loro crescita. Qui sviluppano amicizie, condividono emozioni, cercano risposte alle loro domande più profonde. Vietare l’uso dei social significa spesso tagliare loro un canale di espressione fondamentale. Lancini sottolinea come l’assenza di prospettive future e la fragilità adulta possano rendere difficile instaurare un dialogo autentico con i giovani.

L’ascolto come primo passo per un’educazione efficace. Per educare all’uso consapevole dei social, genitori, insegnanti e figure di riferimento devono imparare ad ascoltare prima di giudicare. Spesso, dietro un uso eccessivo dei social, si celano insicurezze, bisogno di appartenenza e ricerca di riconoscimento. Anziché demonizzare il digitale, è fondamentale chiedersi: “Che cosa sta cercando mio figlio attraverso i social?”. Solo comprendendo i bisogni profondi dei ragazzi possiamo aiutarli a trovare un equilibrio sano tra mondo virtuale e reale.

Empatia e presenza: il vero antidoto agli eccessi. Lancini ci invita a essere presenti nella vita dei ragazzi senza la pretesa di controllare ogni loro passo. La nostra presenza deve essere empatica, non impositiva. Ad esempio, invece di imporre divieti rigidi, possiamo proporre momenti di condivisione, anche digitale: guardare insieme un video, discutere un post interessante o raccontarsi esperienze online e offline. In questo modo, l’adolescente non si sentirà solo, ma sostenuto e compreso.

L’importanza dell’esempio adulto. Non possiamo chiedere ai giovani di limitare l’uso dei social se noi stessi ne siamo dipendenti. Il nostro comportamento digitale diventa un modello: se utilizziamo il telefono durante i pasti, se controlliamo continuamente le notifiche, se ci lasciamo trasportare da polemiche online, difficilmente potremo convincere un adolescente a usare il digitale in modo equilibrato. L’educazione passa anche attraverso la coerenza dei nostri comportamenti.

Dall’urgenza del fare alla capacità di stare nella relazione. Uno degli aspetti più potenti del libro “Chiamami adulto” è l’invito a superare l’urgenza del fare per imparare a stare nella relazione. Nella società attuale, siamo spesso portati a cercare soluzioni rapide: bloccare il telefono, imporre limiti rigidi, minacciare punizioni. Tuttavia, ciò che realmente aiuta un adolescente a crescere è sentire che c’è qualcuno disposto a esserci, ad ascoltarlo, a comprendere le sue difficoltà senza ridicolizzarle o minimizzarle.

Conclusione: una sfida educativa che richiede consapevolezza. Educare all’uso dei social significa aiutare i ragazzi a sviluppare pensiero critico, capacità di discernimento e responsabilità. Significa anche riconoscere che il digitale non è un nemico, ma uno strumento che, se ben utilizzato, può arricchire la loro crescita. Per farlo, gli adulti devono mettersi in discussione, abbandonare la paura del nuovo e costruire una relazione autentica con i giovani.

Giovanni Matera

Per consultare altri miei articoli:

www.giovannimatera.it

 

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