Desiderio di BIL

(benessere interno lordo)

 “Il fenomeno del consumismo di cui siamo protagonisti, ormai da diversi anni, ci vede tutti impegnati in una corsa senza ostacoli all’avere anziché all’essere. Il desiderio sfrenato di possedere per consumare e divertirsi consumando, ci impedisce di riconoscere e distinguere chiaramente i nostri reali bisogni e le forme, antiche e nuove, con le quali vanno soddisfatti. Tutto è illimitato, tutto è senza fine. Compreso l’ambiente, le risorse naturali, l’energia.” (Roberto Lorusso, Nello de Padova).

 La sfida culturale, che oggi il consumismo ci impone, deve essere affrontata da ciascuno di noi con maggiore incisività e determinazione, soprattutto se si considerano le generazioni future, le quali rischiano di dover vivere in un ambiente naturale depredato a causa delle nostre attuali scelte di vita, tutte tese a un consumo eccessivo e disordinato.

Si tratta di una sfida culturale da vincere a tutti i livelli perché, non ci si può fidare neanche della scuola e dell’università, in quanto anche queste sono tutte impegnate a insegnare ai nostri figli le regole del mercato, i criteri di efficienza, a discapito della formazione umana.

Dobbiamo operare una scelta culturale e imparare, quanto prima a praticare “nuovi” stili di vita.

Tra le poche proposte avanzate in questa direzione, si distingue quella della “decrescita felice” elaborata da Maurizio Pallante che in sintesi ci dice: Aumentare la produzione di beni (che stanno a significare capacità, ordine, misura, sobrietà) e ridurre quella delle merci (incapacità, disordine, dismisura, esagerazione).

 Desiderio di BIL (benessere interno lordo)

È bene ricordare a noi tutti che siamo persone capaci, mentre il consumismo è per persone incapaci, perché queste, non sapendo far nulla, hanno bisogno di comprare tutto e tutto pronto (primi surgelati, omogeneizzati, ecc.), mentre più sappiamo fare, meno bisogno abbiamo di merci. La vera ricchezza continua a essere quella del saper fare e non quella basata sul denaro per acquistare merci.

Tutti i generosi e altruisti politici che ci governano, di sinistra/centro e di destra/centro, desiderano per noi la “felicità”. Ma, attenzione, per loro la vera felicità è basata sul PIL (indicatore che misura il valore monetario delle merci scambiate). Il loro amore per i cittadini si concretizza nel renderci disponibile un’eccessiva quantità di merci di ogni tipo. Merci da consumare che presto sostituiremo con altre merci che ci daranno una falsa sensazione di appagamento che durerà sempre meno della precedente e così via.

Viviamo in una società che ha perso il senso della misura, l’eccessivo consumo delle merci, come risposta alla ricerca smodata del “piacere” a tutti i costi, che si è impossessata del centro della vita sociale e sta diventando ormai l’unico valore della società, non subordinato ad alcun altro.

In futuro non dovremmo scegliere politici che ci promettono una crescita del PIL, ma quelli che si impegnino alla crescita del BIL (benessere interno lordo), cioè al benessere per tutti che si ottiene eliminando il PIL superfluo.

Pertanto la riduzione dei costi di produzione (energia, materie prime, ecc.), anche per le imprese, non è solo un bisogno di essere più competitivi nel prezzo, bensì un dovere. Le imprese devono avere ben presente che le risorse naturali sono limitate e alcune non sono rinnovabili. L’attuale ritmo di sfruttamento compromette seriamente la disponibilità di alcune risorse naturali, per il tempo presente e per il futuro.

Un’azienda rispettosa dell’uomo e dell’ambiente è un’azienda sana (moralmente e socialmente) perché non persegue l’obiettivo del profitto a tutti i costi. Anche se lo Stato incentiva ancora troppo poco la ricerca di innovazioni capaci di ridurre l’impatto sull’ambiente provocato dalla produzione e dal consumo.

Ci troviamo di fronte a nuove forme di sfruttamento dei lavoratori, ma lo sfruttatore questa volta non è solo del solito datore di lavoro, ma un nuovo e diverso padrone: il consumismo.

Sicuramente la cosa è molto preoccupante. Il “nemico” da combattere è più forte del precedente, anche perché ci ha completamente soggiogati: si è impossessato di noi e ci ha reso suoi schiavi.

La regola base della cultura dominante è che tutto è merce, tutto deve essere comprato.

L’unica occupazione dell’uomo deve essere un lavoro retribuito in denaro (posto fisso) con cui comprare tutto ciò che gli occorre. Alla cultura dominante non piace l’autoproduzione, l’uomo non deve avere più tempo e nemmeno la possibilità di dedicarsi ad attività produttive proprie e che non siano destinate al mercato.

La società della crescita, della competizione, dello spreco, dell’omologazione e della sottomissione ci vuole soli, in lotta con tutti e consumatori continui. Per questo motivo il gesto più efficace è quello di uscire da questa situazione e iniziare a creare lavoro e una società con altri parametri e valori.

Usciamo dal sistema che ci vuole omologati, soli e consumatori seriali!

Giovanni Matera

Per consultare altri miei articoli:

www.giovannimatera.it