Ciascuno di noi è portato a pensare di vedere le cose così come sono, di essere perfettamente 
obiettivo. 
Invece la verità è un’altra: 
noi vediamo il mondo non com’è in realtà, ma secondo la nostra soggettiva visione.  

Quando raccontiamo quello che vediamo, non facciamo altro che descrivere noi stessi, le nostre percezioni, i nostri paradigmi; e, qualora gli altri non siano d’accordo con noi, immediatamente pensiamo che in loro ci sia qualcosa che non vada. 

Persone assolutamente sincere e analitiche, vedono le stesse cose in maniera diversa, ciascuna guardando attraverso le lenti uniche della propria esperienza. 

Paradigma, dunque, sta appunto a indicare un modello, una teoria, un modo di percepire, un sistema di riferimento, in questo caso del tutto personale. Sarebbe quindi il nostro modo di “vedere” il mondo, non soltanto in termini di percezione sensoriale ma anche e soprattutto in termini di concezione, comprensione e interpretazione di esso. 

Da quasi quindici anni – in momenti diversi e là dove ne ho avuta la possibilità – vado ripetendo una cosa semplice e nota a parecchi: 

Siamo entrati in una nuova economia. Il mondo è cambiato. 

Adesso dobbiamo cambiare anche noi, altrimenti saremo estromessi dal mercato”. E ancora quando, in alcuni articoli precedenti, ho insistito sulla frase “Ma io, cosa posso fare?”; cos’è, se non un salto di paradigma? Cioè il superamento del “modello delegante” che ci vede deresponsabilizzati e dipendenti da altri, a un “sistema protagonista” che ci vedrebbe invece liberi attori dei nostri destini. 

In altre parole, bisogna passare dal paradigma della dipendenza legata al Tu (o al voi): “Tu ti prendi cura di me, tu non hai agito, tu sei l’artefice dei risultati”, al paradigma dell’indipendenza e della responsabilità legata all’Io“Io posso scegliere. Io posso farlo. Io sono responsabile e padrone di me stesso”. Vorrei chiudere quest’argomento con una piccola storia marinara la cui eloquente metafora sarà senz’altro un efficace invito alla riflessione, per tutti. 

Una nave da guerra pattugliava un settore particolarmente pericoloso del Mediterraneo. C’era tensione nell’aria. La visibilità era scarsa, con banchi di nebbia; così, il capitano era rimasto sul ponte a sorvegliare le varie attività dell’equipaggio. 

Poco dopo l’imbrunire, l’uomo di vetta sul ponte annunciò: 

Luce a tribordo!”. 

È ferma o si allontana?”, gridò il capitano. 

È ferma, capitano”, rispose la vetta. 

Questo significava che la loro nave da guerra era in pericolosa 

rotta di collisione con l’altra. 

Il capitano ordinò al segnalatore: “Segnala a quella nave che 

siamo in rotta di collisione e vi consigliamo di correggere la rotta 

di 20 gradi”. 

Giunse di rimando questa segnalazione: “È consigliabile che 

siate voi a correggere la rotta di 20 gradi”. 

Il capitano disse: “Trasmetti: Io sono un capitano. Correggete 

voi la rotta di 20 gradi”. 

Io sono un marinaio di seconda classe – fu la risposta – fareste 

meglio a correggerla voi la rotta di 20 gradi”. 

Adesso il capitano era furente. “Trasmetti – abbaiò -: Sono una 

nave da guerra, perciò correggete la vostra rotta di 20 gradi!”. 

La risposta fu semplice: “Io sono un faro”. 

La nave da guerra cambiò rotta.