Piccoli, Soli e Infelici
Un ragazzo mi ha domandato: “Come si fa a essere pieni di idee?”. Gli ho risposto che è più difficile di quaranta o cinquanta’anni fa, ma non impossibile. Innanzitutto occorre cercarle nelle piccole cose, tra le righe e gli sguardi agghindati di curiosità. Le idee non richiedono chissà quali viaggi, ma semplicemente disponibilità e immaginazione e curiosità. D’altronde, chi non è curioso non può pretendere di avere un futuro capace di superare la propria mediocrità.
In un’epoca dove il cambiamento è sempre più veloce, essere genitori sta diventando difficile e complicato. Il genitore di oggi non può più permettersi di essere il padre o la madre di cinquant’anni fa e di replicare semplicemente ciò che ha visto fare nella famiglia da generazioni. Ha la necessità invece di imparare a comprendere i propri figli favorendo una comunicazione efficace, di coniugare il rapporto lavoro/famiglia attivando nuove dinamiche e di sviluppare un’autorevolezza che, a differenza dell’autorità di cui potevano disporre i nostri padri, permetta loro di essere seguiti in modo totalmente nuovo rispetto al passato.
Insomma, il genitore di oggi deve necessariamente sviluppare tutta una serie di abilità. Capacità e conoscenze non richieste alle generazioni precedenti e che sono tipiche del ruolo di coach: del bravo allenatore che riesce a trasformare al massimo tutto il suo infinito potenziale.
Ci saranno momenti in cui tuo figlio perderà la fiducia in se stesso, si troverà ancorato a immagini di fallimento e proverà sensazioni di paura. Il compito del genitore coach sarà allora quello di spostare la sua attenzione e riportare i suoi pensieri a immagini che evochino sensazioni positive.
Abbiamo disimparato a coniugare verbi al futuro. Sembra che ciò che il benessere ha permesso a tutti noi, solo fino a un anno fa, ci è bastato tanto da far prevalere l’egoismo e renderci anche molto presuntuosi. L’accumulazione di oggetti ci ha stordito e assuefatti tanto da condurci all’inganno mortale: la supponenza che porta a non aver più bisogno degli altri e nemmeno di un domani.
Poi, però, accade l’imprevisto: il mito del presente scricchiola sotto i piedi e ci conduce al terrore, proprio perché ci coglie impreparati.
La diffusa mancanza di autorevolezza genitoriale, registrata negli ultimi decenni, ha comportato un appiattimento dell’attenzione nei confronti di ciò che è necessario a ogni generazione di bambini. Questo ha comportato lo sbriciolamento di regole fondamentali per la crescita, compreso un basilare buon senso. Il benessere materiale di molte famiglie ha contribuito al resto.
Una parte di questa generazione di adulti, assopita dai privilegi costruiti o ereditati, ha favorito l’emergere di un nuovo fenomeno: l’alfabetismo emotivo e civile; ossia l’educare i propri figli a pretendere e accampare diritti senza riconoscere né obbedire ad alcun dovere.
Molti dei nostri piccoli non sono stati aiutati a elaborare l’esperienza importantissima del rispetto per quello che accade nel Paese. Anzi, i genitori “non tutti per fortuna” si sono trasformati in cavalieri servienti di “piccoli lord” cui tutto è dovuto, fuorché l’essenziale; ossia il tempo del gioco, della fantasia, ma anche della narrazione della realtà.
I classici scrittori per l’infanzia conoscevano bene l’importanza di una fiaba come mezzo di comunicazione emotiva e affettiva. Le loro storie erano volutamente affollate da personaggi terribili, affascinanti, paurosi, incantevoli perché chi li avrebbe lette ai propri piccoli, sarebbe stato accanto a loro per rassicurarli o pacificarli e incantarli al momento giusto e con parole appropriate proprie.
Ciò è stato nel tempo parte fondamentale della crescita emotiva dei bambini, come strumento indispensabile per ricevere anticorpi contro gli eventi negativi dell’esistenza e, allo stesso tempo, parte per scoprire che cosa significa emozionarsi. E una volta che s’impara cosa siano i battiti del cuore, non si dimenticano e si cercano ovunque e in chiunque.
In un bambino la curiosità è il sentimento prevalente e la fiaba è il terreno su cui esercitare e raffinare il proprio talento emotivo. Se uccidiamo la curiosità in un bimbo, anche nei confronti della paura e dello spavento, ne mutiliamo le potenzialità creative, appesantiamo le sue ali con il piombo impedendogli di volare. Il dolore non va negato, ma spiegato.
La domanda dunque è semplice e chiara: per salvaguardare la nostra comunità, siamo pronti ad accettare la sfida di imporre il più grande cambiamento nelle relazioni fra adulti e giovani? Ovvero educare le nuove generazioni al merito e alle competenze, ammettendo gli errori educativi perpetrati negli ultimi decenni?
La responsabilità non potrà né dovrà cadere su un ministero, ma su ciascuno di noi.
Giovanni Matera
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