La macchina della ricchezza

Oggi siamo in tanti a non essere contenti di questa classe politica, di ogni colore, per la diffusa corruzione, per i troppi privilegi, per gli alti costi, per l’arroganza, l’inefficienza, ecc., ma esiste una questione molto più profonda che intendo affrontare e che riguarda il ruolo stesso della politica nella società, la quale, con la complicità dell’informazione e parte della cultura, lascia in ombra (spesso al buio) i veri motori del cambiamento e dello sviluppo creando un sistema a circuito chiuso, dove rimangono imbrigliati anche gli uomini migliori. Il nostro paese è pieno, in tutti i campi, di talenti e di energie represse, o non valorizzate, che attendono di essere liberate e di trovare il contesto giusto per potersi esprimere nell’interesse generale.

Prima di proseguire vorrei fare un esempio. Prendiamo due paesi con redditi molto distanti tra di loro: l’Olanda con circa 28.000 Euro annui procapite e la Turchia con soli 9.000 Euro. Adesso immaginiamo che in campagna elettorale il politico turco prometta ai suoi elettori salari, pensioni, assistenza, asili nido, ospedali di tipo olandese. Potrebbe mantenere queste promesse? Ovviamente no. Per capire perché il politico turco non può mantenere tali promesse, c’è bisogno di capire come funzionano la “macchina della ricchezza” e la “macchina della povertà”.

Molti sono convinti che sia la politica a determinare il benessere di un paese e che cambiando maggioranze, o leader, si possono ottenere cose che in realtà non dipendono dalla politica e neppure dalla capacità di lottare per ottenerle. Infatti, anche se i cittadini turchi riempissero le piazze di cortei e scioperassero a oltranza, non riuscirebbero comunque ad avere né salari, né pensioni, né assistenza, né asili nido e neppure ospedali di tipo olandese. Perché? Perché esistono meccanismi che portano una società a essere sviluppata o arretrata, indipendentemente dalla politica. Il politico, infatti, è il pilota, ma senza macchina non può andare da nessuna parte. La ricchezza di ogni paese dipende da un “ecosistema” particolare in cui entrano in gioco molte componenti: conoscenza, efficienza, capacità imprenditoriali, ricerca, organizzazione, produttività ecc.

Facciamo un altro esempio. Immaginiamo che l’Olanda subisca una granve catastrofe: che le dighe siano travolte da gigantesche onde provocate da un terremoto sottomarino e che le terre basse siano invase dal mare. Supponiamo, sempre per assurdo, che due milioni di olandesi, rimasti senza terra e senza casa, siano portati in qualunque parte disabitata del pianeta e lì lasciati. Tornando dopo venticinque anni, cosa troveremmo? I loro scheletri oppure università e campi da tennis? Credo che propenderemmo per la seconda ipotesi. Perché? Perché essi hanno portato con sé la capacità di riprodurre quella “macchina della ricchezza” andata persa nella catastrofe. In fondo è proprio quello che è successo alla Germania, uscita completamente distrutta dalla guerra nel ‘45, e che venticinque anni dopo, nel ‘70, era tornata a essere potenza economica. Anche se, detto tra noi, i tedeschi non mi stanno molto simpatici.

La macchina di cui stiamo parlando è invisibile ed è racchiusa nel cervello umano. Proietta il suo sapere e il suo saper fare. Tutto ciò che vediamo intorno a noi, è la proiezione della nostra mente: educazione, cultura, capacità imprenditoriale, organizzazione dei nostri valori (in grado a loro volta di creare regole e di farle rispettare). È per questo, che certe cose non si possono di colpo trasferire da un paese all’altro, da un ecosistema a un altro e nemmeno con un cambio di governo. Si può trasferire l’hardware ma non il software. Cioè i macchinari ma non i saperi; ed è il software che fa la differenza.

Vi sono paesi che hanno un reddito pro capite di soli 200 euro l’anno (meno di 60 centesimi al giorno), come il Burundi. Anche qui, allora, basterebbe cambiare governo per avere salari olandesi?

Comunque, al di là dai paradossi, questo non significa che la politica non sia importante; anzi, potrebbe essere importantissima, se soltanto riuscisse a stimolare e a far crescere in modo prioritario quei software (valori, educazione, regole, conoscenza, efficienza, competitività, ricerca, produttività, competenze, creatività, imprenditorialità, organizzazione, merito, ecc.) che sono i veri produttori di ricchezza. In altre parole, più una società riesce a produrre ricchezza in modo efficiente, più può permettersi di sviluppare i settori avanzati (che comprendono naturalmente anche l’arte, la letteratura, la musica ecc.).

La politica deve saper equilibrare essenzialmente due cose: la Produzione e la Distribuzione della ricchezza, che sono i veri pilastri dell’economia.  Anche l’opinione pubblica, non dovrebbe battersi solo per una migliore distribuzione della ricchezza (che a volte può significare, ottenere più degli altri), ma per migliorare la situazione. Sarebbe fantastico assistere un giorno a marce, manifestazione e scioperi a favore e per migliorare quel software di cui parliamo.

Oggi la classe politica in Italia è completamente sbilanciata sul versante della distribuzione (in favore della clientela, in cambio di consenso) ed è questo squilibrio l’origine di tanti guai, a cominciare dall’immenso debito pubblico, mentre è fortemente deficitario sul piano della produzione di ricchezza.

È pura follia quello che la politica sta facendo in Italia: non investe (o poco e male) in ricerca e formazione e così si lascia scappare le menti più valide; non premia il merito e men che meno attira ricercatori stranieri. Non fa come nel calcio, dove l’Italia è ai primi posti perché le società calcistiche mettono in campo i giocatori migliori. La loro selezione è basata semplicemente sul merito, i più bravi vengono pagati tantissimo proprio perché non scappino via; e non solo: li vanno a cercare all’estero i fuoriclasse per rendere ancora più vincente la squadra. Lo stesso vale per gli allenatori, se non conseguono i risultati previsti, vengono esonerati e sostituiti. Insomma, ci impegniamo molto più nella selezione dei piedi che dei cervelli.

La nostra classe politica, com’è tristemente noto, non riconosce il merito ma, ovunque riesce a infilarsi, premia l’appartenenza; poiché, in questo modo, può piantare ogni volta una bandierina propria o del partito. Questo è uno dei più pesanti e seri “inquinamenti” del nostro ecosistema, perché mette sabbia nel motore Italia e gli impedisce di funzionare bene.

Non è un caso se i paesi emergenti, soprattutto quelli asiatici, hanno investito (contrariamente a noi) proprio in educazione e ricerca. Cioè in software.

Giovanni Matera

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