Il paradosso di Stockdale
L’ammiraglio Stockdale è stato il prigioniero americano più alto in grado durante la guerra del Vietnam. Nel corso della sua detenzione fu sottoposto a brutali torture, ma, ciò nonostante e grazie al suo coraggio, contribuì a salvare la vita di molti suoi commilitoni con-reclusi. Dopo la guerra, il pluridecorato alto ufficiale, per molti ha rappresentato un grande esempio di audacia e forza d’animo per essere riuscito a sopravvivere per lungo tempo in condizioni estreme.
A un giornalista che gli chiedeva che cosa servisse per sopravvivere tanti anni in un campo di prigionia, Stockdale rispose: “Non ho mai smesso di credere nel fatto che la storia avrebbe avuto un esito favorevole. Non ho mai messo in dubbio che non solo ce l’avrei fatta a tornare a casa, ma anche che alla fine sarei riuscito a trasformare quell’esperienza in un momento che avrebbe definito in modo positivo la mia vita; in qualcosa che, potendo ritornare indietro, non avrei cambiato con niente al mondo”.
Il cronista, colpito da una risposta così profonda, riflesse per qualche istante e chiese: “Chi sono invece quelli che non gliel’hanno fatta? Quelli che non sono riusciti a sopravvivere a una tal esperienza?”. “Gli ottimisti. – rispose prontamente Stockdale – Sono loro che non ce l’hanno fatta.”
Il giornalista, avendo percepito una qualche contraddizione nelle repliche dell’ammiraglio, chiese ulteriori spiegazioni.
L’ammiraglio, quindi, chiarì: “Gli ottimisti erano quelli che dicevano: <<Entro Natale saremo a casa>>; poi arrivava il Natale e loro erano ancora lì. Allora, ribadivano: <<Saremo a casa per Pasqua>>. A Pasqua loro erano sempre lì; e così il Natale successivo e la Pasqua seguente… Non guardavano in faccia la tremenda realtà del loro stato di schiavitù e, una delusione dopo l’altra, alla fine sono sprofondati in una malinconica prostrazione e, semplicemente, si sono lasciati morire”.
Questa, penso sia una bella lezione: Non si dovrebbe mai confondere la fede con le nostre capacità di potercela fare, anche in condizioni estreme. Occorre una visione obiettiva della realtà, qualunque essa sia, per poterla affrontare con la necessaria razionalità, disciplina e coraggio.
L’ottimismo e la fede sono senz’altro due importanti fattori d’aiuto per la nostra esistenza ma, evidentemente, non bisogna eccedere nella “pratica” di questi sia pur nobili atteggiamenti/sentimenti poiché, se non sono associati a decisioni, scelte e azioni responsabili e assennate, alle volte anche apparentemente dure, possono incidere pesantemente sulle sorti di un’azienda. Un po’ come recentemente stava per capitare al sottoscritto. Anch’io, da buon ottimista a oltranza quale sono, avevo riposto molta fede nel fatto che la mia impresa avrebbe superato, senza grossi sacrifici, quella che credevo una crisi impegnativa, sì, ma passeggera. Anch’io, come gli ottimisti americani prigionieri in Vietnam, speravo in un Natale o in una Pasqua di “resurrezione”, e non vedevo (o non volevo vedere) i fatti brutali, della difficile situazione economico-finanziaria generale, che m’imponevano urgenti e drastiche scelte di cambiamento dell’intera organizzazione strutturale della mia azienda, senza però eseguire tagli al personale..
Questo, purtroppo, ha implicato lo “scotto” di un rilevante dazio emotivo, poiché non tutti i miei collaboratori hanno condiviso l’unica scelta possibile da fare per assicurare un futuro all’azienda e, di conseguenza, anche a loro stessi. Forse loro sono molto più “ottimisti” di me, chissà?
Lo scenario incerto e complesso di oggi, in tutti i settori della società, ci obbliga ad attuare scelte che in passato non avremmo mai immaginato di compiere: pena, l’estinzione dal mercato.
Le imprese che hanno avuto, loro malgrado, il coraggio di guardare in faccia la cruda realtà odierna e adottato piani di giusta protezione e rilancio di se stesse, oggi sono stabilmente sul mercato a dire orgogliosamente la loro. Quelle che invece perseverano nell’”ottimismo” e nella speranza di una risoluzione dall’”alto”, tipo: l’immediata fine della crisi, la riapertura del credito bancario a tassi agevolati, o una grossa vincita alla lotteria… Beh, quelle aziende, ahinoi, versano in condizioni piuttosto difficili.
Le piccole e medie imprese che oggi riescono a battere la crisi, hanno capito che lo scenario di cui sopra (cosiddetto “nuova normalità”), si protrarrà per parecchio tempo ancora; quindi è del tutto sconsigliabile lamentarsi per i tanti problemi che questa “benedetta” nuova normalità ci procura. Sarebbe invece molto più sensato e proficuo cercare di dare, a quei problemi, le opportune soluzioni.
Giovanni Matera
Per consultare altri miei articoli:
www.giovannimatera.it