Il Padre che manca alla nostra società
Cresciamo i nostri figli nella dispersione ludica mentre la storia li investe di una responsabilità enorme: come far esistere ancora un avvenire possibile? (Massimo Recalcati).
La difficoltà dei padri a sostenere la propria funzione educativa e il conflitto tra le generazioni che ne deriva, sono noti da tempo e non solo agli psicoanalisti. I padri latitano, si sono eclissati o sono divenuti compagni di giochi dei loro figli. Tuttavia, nuovi segnali, sempre più insistenti giungono dalla società civile, dal mondo della politica e della cultura, a rilanciare una inedita e presente domanda di padre.
Noi siamo nel tramonto irreversibile del padre, ma siamo anche nell’epoca di Telemaco (dovette attendere ben vent’anni prima di vedere il padre); Le nuove generazioni guardano il mare aspettando che qualcosa del padre ritorni.
La domanda di padre che oggi attraversa il disaggio della giovinezza non è una domanda di potere e disciplina, ma di testimonianza. Sulla scena non ci sono più padri-padroni, ma solo la necessità di padri-testimoni. La domanda di padre non è più domanda di modelli ideali, di dogmi, di eroi leggendari e invincibili, di gerarchie immodificabili, di un’autorità meramente repressiva e disciplinare, ma di atti, di scelte, di passioni capaci di testimoniare, appunto, come si possa stare in questo mondo con desiderio e, al tempo stesso, con responsabilità.
Il padre che oggi viene invocato non può più essere il padre che ha l’ultima parola sulla vita e sulla morte, sul senso del bene e del male, ma solo un padre radicalmente umanizzato, vulnerabile, incapace di dire qual è il senso ultimo della vita ma capace di mostrare, attraverso la testimonianza della propria vita, che la vita può avere un senso.
Il compito del genitore, dichiarava Freud, è un compito impossibile. Come governare e psicoanalizzare, aggiungeva. Significa che il mestiere del genitore non può essere ricalcato su un modello ideale che non esiste.
Ciascun genitore è chiamato a educare i suoi figli solo a partire dalla propria insufficienza, esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento. Per questa ragione i migliori non sono quelli che si offrono ai loro figli come esemplari, ma come consapevoli del carattere impossibile del loro mestiere.
I genitori peggiori, infatti, quelli che fanno più danni ai loro figli, non sono solo quelli che abbandonano le loro responsabilità evadendo il compito educativo che spetta loro, ma anche quelli che misconoscono la loro insufficienza. Sono i genitori “educatori”, quelli che usano il loro sapere come fosse un potere e viceversa. Sono quelli che pretendono di spiegare il senso della vita perché si sentono “proprietari” della vita dei loro figli. Sono quelli che presumono di avere diritto ad avere sempre l’ultima parola su ogni cosa.
È questa l’aberrazione maggiore che colpisce la figura del genitore-educatore, la figura del padre che in questo caso non è più, come dovrebbe essere, colui che sa dare la parola, che sa portare la parola, ma colui che reputa suo diritto esclusivo esercitarla come potere assoluto.
Nell’attualità non prevale tanto il genitore-educatore ma il suo rovescio speculare; la figura del genitore-figlio. Si tratta di quei genitori che abdicano alla loro funzione, ma non perché abbandonano i loro figli, né perché si pongono come educatori esemplari, ma perché sono troppo prossimi, troppo simili, troppo vicini ai loro figli. I peggiori non sono più coloro che si sentono affidare un compito educativo vissuto come missione redentrice, ma quelli che si assimilano simmetricamente alla giovinezza dei loro figli. Il figlio-Narciso si rispecchia nel genitore-Figlio e viceversa. La differenza simbolica tra le generazioni lascia il posto a una loro confusione.
Si tratta, per riprendere una formula di Pasolini, di una “mutazione antropologica” recente:
L’evaporazione degli adulti, dileguati di fronte al peso delle loro responsabilità educative.
Un forte vento spira in direzione contraria alla funzione simbolica delle istituzioni. Di questo vento gli esempi sono molteplici e investono anche la nostra vita quotidiana. Di fronte a una bocciatura i genitori tendono ad allearsi ai loro figli più che con gli insegnanti, possono cambiare scuola o impugnare la loro causa rivolgendosi ai giudici del Tar.
L’assunzione di una posizione educativa suscita il sospetto di esercitare un potere contrario.
La rete offre la possibilità a chi ritiene di essere uno scrittore di farsi il proprio libro online senza passare dal giudizio degli editori. Le amicizie non passano più dalla mediazione indispensabile dell’incontro, ma si coltivano in modo anonimo sui social network ecc.
Gli adulti sembrano essersi persi nello stesso mare in cui si perdono i loro figli, senza alcuna distinzione generazionale, rincorrono facili amicizie sui vari social network, si vestono allo stesso modo dei figli, giocano coi loro giochi, parlano lo stesso linguaggio, hanno gli stessi ideali. Questo nuovo ritratto dell’adulto esalta il mito immortale di Peter Pan, il mito della giovinezza perenne, la retorica di un culto dell’immaturità che propone una felicità spensierata e priva di ogni responsabilità.
Una cifra del nostro tempo: Insomma, non è che i veri bamboccioni siano gli adulti di oggi più che i loro figli? Da una parte essi si trovano gettati, con grande anticipo sulla loro età mentale, in un mondo ricchissimo di informazioni, saperi, sensazioni, opportunità di incontro, ma dall’altra, sono lasciati soli dagli adulti nel loro percorso di formazione.
Nessuna epoca come la nostra ha conosciuto una libertà individuale e di massa come quella che sperimentano i nostri giovani. Tuttavia a questa nuova libertà non corrisponde nessuna promessa sull’avvenire.
La vecchia generazione ha disertato il suo ruolo educativo consegnando, di conseguenza, ai nostri figli una libertà fatalmente mutilata.
La solitudine di una generazione che si sente lasciata cadere, abbandonata, che cerca il confronto con il mondo degli adulti ma non lo trova, che fatica a trovare degli adulti coi quali misurare il proprio progetto di mondo.
Ispirato da: “Il Complesso di Telemaco” di Massimo Recalcati edito Feltrinelli, saggi.
Giovanni Matera
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