“La sconfitta, è come il mal di testa, ci avvisa che qualcosa è andata male. Se siamo intelligenti cerchiamo la causa e traiamo profitto dall’esperienza”. Napoleon Hill.
Spesso la sconfitta ci lancia un messaggio che noi non capiamo. Questo è talmente vero che tante volte non solo ripetiamo lo stesso errore, ma non facciamo tesoro nemmeno degli errori che commettono gli altri.
“La povertà è l’esperienza più ricca che può capitare a una persona, esperienza dalla quale, però, consiglia di allontanarsi il più in fretta possibile”. Edward Bok.
Le mie esperienze personali mi hanno portato a credere che quello della sconfitta sia il più semplice e il più efficace linguaggio del mondo, una volta che cominciamo a comprenderlo. Sono quasi tentato di dire che credo sia il linguaggio con cui la natura ci chiama a gran voce, quando non ne vogliamo ascoltare altri.
Sono felice di aver vissuto così tante sconfitte. Hanno avuto l’effetto di temprarmi con il coraggio di avviare delle imprese che non avrei mai iniziato, se fossi stato circondato da influssi protettivi. La sconfitta è una forza distruttiva, solo se viene accettata come fallimento. Quando invece viene assunta come insegnamento di una lezione necessaria, è sempre una benedizione.
Qualcosa su come è andata: (tratto dal mio primo libro “La Cassetta degli Attrezzi”).
A bordo della mia auto tornavo da Bari, dove ero solito recarmi per gli acquisti dei materiali occorrenti alla mia falegnameria… poi, il buio.
Mi svegliai nel letto di un ospedale. Non ricordavo nulla, ma mi resi subito conto di essere messo davvero male. Qualcuno m’informò che avevo avuto un brutto incidente stradale e che, per tre lunghi giorni, ero sprofondato nell’abisso di un coma.
Immobile nel letto cercavo di valutare il danno subìto dal mio corpo, ma era cosa impossibile poiché mi doleva tutto quanto e, come se ciò non bastasse, iniziai a pensare anche alla mia situazione lavorativa.
La mia piccola bottega non andava per niente bene. La produzione di porte per abitazioni mi restituiva una marginalità così bassa, che non mi consentiva nemmeno di coprire i costi di gestione dell’attività stessa. Nonostante lavorassi come un pazzo da mattina a sera e sebbene mi privassi di tutto pur di farcela, pur di offrire una vita migliore alla mia famiglia, niente! Le cose andavano esattamente nel verso contrario. Al danno della mia condizione economica si era aggiunta, in aggravio, la beffa della punizione fisica. Insomma, un disastro totale. Ero in K.O. assoluto!
Oggi, a distanza di trentasette anni da quel giorno, benedico quell’incidente.
So bene che questa mia affermazione potrà apparire come un paradosso o addirittura una bestemmia, ma è proprio così. Io ringrazio quel giorno, per aver subito quell’incidente, perché è stato proprio in quei momenti di sconfinata tristezza – in quel letto d’ospedale in cui pensavo fossi letteralmente finito non solo come imprenditore ma anche come uomo – che ho cominciato a vedere in faccia la realtà e le cose con più chiarezza. Era come se mi fossi infilato in un tunnel buio e profondo da cui però avevo fermamente deciso di uscirne al più presto possibile. Sentivo che la maniera con cui avevo condotto la mia attività e la mia vita privata fino allora non mi appartenesse più, che le mie capacità potessero andare ben oltre quell’esistenza mediocre in cui mi ero cacciato e con tanta fatica, per giunta.
Per dirla con il banale aforisma “Non tutti i mali vengono per nuocere”. Il mio “male”, invece, venne proprio per farmi del bene! Eh sì, perché in quella che si era presentata come la mia apocalisse finale, si nascondeva paradossalmente il seme dell’opportunità. Infatti, fu proprio in quei momenti di suprema sconfitta che mi si stagliò davanti, con perfetta limpidezza, il futuro! In pochi attimi mi lanciai in una nuova e chiara prospettiva temporale, decidendo con estrema convinzione di mettere fine alla mia vecchia vita e, con essa, anche alla mia bottega, per far nascere finalmente la Matera Arredamenti.
Se in un momento di disperazione, ci troviamo inclini a marchiare noi stessi come falliti, ricordiamo semplicemente le parole del ricco filosofo Greco, consigliere di Ciro, re dei persiani: “Ricordo, oh Re, e ho imparato questa lezione, che c’è una ruota sulla quale girano gli affari degli uomini e il suo meccanismo e tale che evita a tutti di essere sempre fortunati”.
Il fallimento spesso ci mette in una situazione che richiede uno sforzo eccezionale. Molti hanno estorto una vittoria dalla sconfitta, combattendo con le spalle al muro, dove non potevano indietreggiare.
Cesare aveva a lungo desiderato conquistare i britanni. Fece salpare senza troppo clamore le navi cariche di uomini fino alle coste della Britannia, scaricò le truppe e gli approvvigionamenti, poi ordinò di bruciare tutte le navi. Chiamati i suoi soldati, disse: “Ora è, o vincere o morire. Non abbiamo altra scelta”. E vinsero.
Di solito gli uomini vincono quando così hanno deciso. Bruciamo i ponti tra di noi e osserviamo come lavoriamo bene quando sappiamo di non avere alcun luogo dove battere in ritirata.
Un controllore di tram si prese un periodo di aspettativa per provare a lavorare in un grande business commerciale, “Se non riesco a mantenere questo mio nuovo lavoro – commentò – potrò sempre tornare a quello di prima”. Alla fine del mese ritornò, completamente guarito da qualsiasi ambizione che non fosse nient’altro che lavorare su un tram. Se si fosse licenziato, invece di chiedere un’aspettativa, forse sarebbe andato bene nel nuovo lavoro.
La saggia Provvidenza ha previsto per l’umanità che ogni persona che giunga all’età della ragione, debba portare la croce del fallimento in un modo o nell’altro. La più pesante e crudele di tutte le croci è la povertà. Centinaia di milioni di persone che vivono oggi su questa terra hanno bisogno di faticare sotto il peso di questa croce per godere delle tre necessità essenziali della vita: un luogo in cui dormire, qualcosa da mangiare e abiti da indossare.
Portare la croce della povertà non è uno scherzo, ma e significativo che alcuni dei più grandi uomini e donne che hanno mai vissuto, abbiano trovato necessario portare questa croce prima di “arrivare”.