Abbondano nel nostro paese tavole rotonde, seminari, comizi e iniziative d’ogni genere organizzati da partiti, associazioni di categorie ecc. 

Siamo sempre in campagna elettorale e i protagonisti in campo ci raccontano cose che, per la verità, sappiamo già da un po’ dai giornali e dalle tv. La crisi economica, i cinesi, gli indiani, la situazione finanziaria americana che si riflette sull’Europa, le varie “minacce” di chiusura degli stabilimenti e così via.  

E ancora, le grandi aziende del nord che si sono insediate per qualche anno al sud, giusto il tempo di rapinare il bottino dei finanziamenti pubblici e scappare nei paesi dell’est o dall’altra parte del mondo, determinando così un inevitabile e duro incremento della disoccupazione e del precariato in Italia.  

Insomma, tutto sembra precipitare irrimediabilmente nel baratro e noi, comuni mortali, siamo rassegnati all’idea di non poterci fare nulla! 

Ma sarà proprio così? Siamo davvero certi che non possiamo fare niente? Che ci tocca continuare a subire passivamente un destino che altri hanno scritto per noi? 

E se provassimo a guardarci dentro? Se cominciassimo a porgerci una semplice domanda: “Ma io, cosa posso fare?”. 

Con ciò non dico nulla di nuovo, prima e meglio di me l’ha già affermato il grande e compianto presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, allorquando un suo concittadino gli chiese cosa avrebbe fatto per lui, e il presidente rispose: 

“Non pensare a cosa la tua nazione possa fare per te, pensa a cosa tu puoi fare per la tua azione”. 

Ecco, se facessimo nostra una tale domanda, immediatamente cambierebbe la nostra visione del mondo. Vedremmo dispiegarsi davanti a noi nuove prospettive e diverse soluzioni: il pessimismo trasformarsi in pensiero positivo e tutto quello che oggi percepiamo come problematico, faticoso e anche irrisolvibile, ci apparirebbe con più chiarezza e nella sua giusta dimensione in cui potremmo intervenire e risolvere con entusiasmo e serenità. 

È indispensabile ribadire un concetto già espresso in precedenza: 
Ognuno di noi, nel suo piccolo, è un imprenditore. Qualunque sia il suo ruolo nella società: padre, madre, nonno/a o figlio/a di famiglia, professionista, dipendente, precario/a o disoccupato/a. 

Ognuno di noi è titolare dell’impresa di se stesso e, come tale, unico attore del proprio destino, che non può ridursi a spettatore al teatro della propria esistenza. 

… e se provassimo a guardarci dentro?