“C’è il lavoro, mancano i lavoratori”

“Il lavoro c’è, ma senza lavoratori resta un’occasione sprecata.
Solo unendo scuola, impresa e giovani possiamo trasformarlo in futuro.”

La fotografia scattata da Confartigianato nel rapporto Alla ricerca del lavoro perduto racconta una verità che pesa come un macigno: in Italia, e in particolare nelle piccole imprese e nell’artigianato, il lavoro c’è, ma mancano i lavoratori. Un paradosso che sembra quasi impossibile da credere in un Paese dove si parla spesso di disoccupazione e di giovani costretti a emigrare all’estero per costruire il proprio futuro.

Eppure i numeri parlano chiaro: nel 2023 le imprese italiane non sono riuscite a reperire il 45,1% della manodopera necessaria, pari a 2.484.690 posti rimasti scoperti.

Rispetto al 2022 la difficoltà è aumentata, passando dal 40,5% al 45,1%. Una tendenza che si aggrava ulteriormente per le piccole imprese (48,1%) e che raggiunge livelli drammatici per gli artigiani, dove oltre la metà delle figure richieste, il 55,2%, è risultata introvabile.

Le radici del problema. Per comprendere questa situazione dobbiamo guardare oltre le statistiche. Le cause principali affondano le radici in due grandi fattori: la crisi demografica e la formazione scolastica inadeguata.

Da una parte la denatalità e l’invecchiamento stanno svuotando le nostre città e riducendo drasticamente la popolazione attiva. Dall’altra, la scuola spesso non prepara adeguatamente i giovani ad affrontare il mondo del lavoro, lasciandoli senza competenze pratiche e senza quella “cultura del lavoro” che dovrebbe accompagnare i saperi teorici.

Amleto Impaloni, direttore di Confartigianato Imprese Piemonte Orientale, ha spiegato che circa il 12% dei candidati si presenta con una preparazione insufficiente, mentre quasi il 30% dei posti disponibili resta vacante perché non si trovano candidati adeguati.

A questo si aggiungono fenomeni sociali come i cosiddetti “giovani inattivi”: quasi un milione e mezzo di ragazzi e ragazze che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro. Per motivi familiari, per scoraggiamento, per ritardi negli studi o per la percezione che i sussidi siano una scelta meno faticosa. Un esercito silenzioso che rappresenta una ferita aperta nel tessuto sociale del Paese.

I costi del tempo perduto. Il ritardo nel reperire personale qualificato non è soltanto un problema organizzativo: è una questione economica di enorme rilevanza. Secondo i dati Confartigianato, le piccole imprese italiane hanno sostenuto nel 2022 costi superiori ai 10 miliardi di euro proprio a causa delle difficoltà di assunzione.

In Piemonte Orientale, ad esempio, le sole aziende novaresi hanno registrato oltre 70 milioni di euro di perdite in un anno. Cifre che raccontano non solo un danno immediato per le imprese, ma anche un freno alla competitività dell’intero sistema economico.

Michele Giovanardi, presidente di Confartigianato Imprese Piemonte Orientale, sottolinea come la carenza di personale qualificato sia oggi percepita come il problema più grave dalle Pmi italiane (58,1%), più pesante persino della burocrazia, dell’accesso al credito e della concorrenza sleale.

Una sfida che riguarda tutti. Siamo di fronte a una sfida che non può essere lasciata sulle spalle dei soli imprenditori. La questione educativa e quella culturale devono diventare priorità del Paese.

“Per colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro – affermano Giovanardi e Impaloni – bisogna partire dalla scuola, di tutti gli ordini e gradi. Dobbiamo imparare a insegnare la cultura del lavoro, superando la storica separazione tra formazione umanistica e tecnica e preparando i ragazzi ad affrontare un mondo in continua evoluzione”.

Iniziative come il Liceo del Made in Italy o i nuovi percorsi di formazione professionale vanno nella giusta direzione, ma non bastano. È necessario rafforzare la parte tecnico-pratica della formazione, aprire le scuole alle imprese e coinvolgere direttamente gli imprenditori nel ruolo di formatori. Solo così i giovani potranno percepire il lavoro non come un ostacolo, ma come uno spazio di realizzazione personale e sociale.

Trattenere i talenti: non solo salario. Se da una parte c’è la necessità di formare nuovi lavoratori qualificati, dall’altra le imprese devono anche trattenere i talenti già presenti. Come? Non solo con aumenti salariali – che restano importanti – ma anche attraverso flessibilità, autonomia e crescita professionale.

Le indagini mostrano che i lavoratori, soprattutto i più giovani, cercano ambienti in cui sentirsi valorizzati, dove poter esprimere creatività e ricevere fiducia. Un luogo di lavoro che non sia solo “posto” ma spazio di vita.

Una questione di futuro. La mancanza di lavoratori qualificati non è un problema solo economico: è una questione sociale, culturale e persino etica. Riguarda il nostro futuro come comunità.

Se i posti restano vuoti, non vuote rimangono solo le aziende: rischiano di svuotarsi interi territori, con scuole che chiudono, piazze che si spopolano, comunità che invecchiano senza ricambio generazionale.

Dobbiamo chiederci: quale Paese vogliamo costruire? Uno in cui il lavoro c’è, ma i lavoratori mancano? Oppure un Paese capace di rimettere al centro la dignità del lavoro come strumento di crescita personale e collettiva?

Conclusione. La sfida che abbiamo davanti è complessa, ma non impossibile. Serve un nuovo patto educativo tra scuola, impresa e comunità. Serve un cambio di mentalità, che restituisca valore al lavoro manuale e tecnico, senza relegarlo a un ruolo di “serie B” rispetto a quello intellettuale. Serve coraggio per superare vecchi schemi e aprire la strada a un futuro in cui competenze, passione e responsabilità si intreccino.

Il lavoro c’è. Manca chi sia pronto ad accoglierlo, a viverlo, a trasformarlo in occasione di crescita. È tempo di rimettere insieme i fili spezzati tra scuola, giovani e imprese, perché solo così potremo evitare che la prossima fotografia dell’Italia racconti un vuoto ancora più grande.

Giovanni Matera

Per consultare altri miei articoli:

www.giovannimatera.it

 

Lascia un commento