Basta lamentarsi

 E’ vero, i giovani hanno di che lamentarsi. L’Italia tratta male i suoi figli: ne fa pochi, li fa studiare male, li grava di debiti, non gli offre un lavoro e, soprattutto, non li prepara adeguatamente alle difficoltà cui dovranno imbattersi. Per altro verso, noi li viziamo pure: soddisfacendo ogni loro capriccio, anticipando ogni loro richiesta, prevenendo ogni loro desiderio e sfamandoli lautamente ben oltre il necessario, e loro entrano già sazi nel mondo; però, si deprimono al primo ostacolo che gli si presenti davanti; e la colpa di tutto questo non è la loro. E’ nostra!

Di ostacoli, ahinoi, i nostri ragazzi ne incontreranno molti. L’Italia ha una disoccupazione giovanile vicina al 40 per cento e qui, al sud, la percentuale è molto più alta. E’ una vergogna che ci chiama tutti in causa. Abbiamo urgente bisogno di un vero e radicale cambiamento. La politica italiana dovrebbe tornare ad ascoltare e proteggere il proprio popolo attraverso un sostanziale alleggerimento della pressione fiscale, una seria riduzione del costo del lavoro, una reale incentivazione alla piccola e media impresa, mediante anche un severo intervento sulle banche che consentano un più facilitato accesso al credito (sia alle imprese sia alle famiglie), un concreto impegno per la scuola pubblica, l’università e la ricerca. Solo in questo modo l’Italia potrà risorgere, produrre lavoro, occupazione e benessere. Solo così i nostri giovani potranno mettere su famiglia, fare figli, costruirsi una casa, non certo con le varie (quando non turpi) insipide ricette che, a turno, ci propongono i nostri “illuminati” politici.

E’ ormai comune pensare che sia più importante conoscere qualcuno, anziché qualcosa, e i nostri figli sono cresciuti con questi assunti: “Se non hai la raccomandazione, non vai da nessuna parte”.

Il paese, a cominciare dall’élite (che è la massima espressione di questa grave corruttela, che premia i propri parenti, i figli degli “amici”, quelli con i cognomi importanti, la “clientela” più fidata e gli “ubbidienti”) non tiene minimamente in considerazione il merito. Tutto deve passare dal tale o dal talaltro politico, sindacalista, magistrato o monsignore i quali, per magia (o per miracolo) trasformano un nostro diritto in un proprio favore (o grazia) personale. Tutto questo avviene in nome dello scambio del voto elettorale su cui si fondano le immense fortune economiche (e di potere) di questi indegni personaggi, a totale danno di un’intera nazione.

L’Italia oggi paga con il proprio sangue una crisi costruita a tavolino altrove, con il beneplacito di una classe politica asservita ai poteri forti internazionali. Il debito privato del nostro paese è di molto inferiore a quello di altre nazioni europee, eppure il ritornello a lungo ascoltato, “Usciremo dalla crisi prima e meglio degli altri”, suona tristemente falso! Anzi, l’Italia è affondata in una duplice crisi: di liquidità e di fiducia. C’è sempre meno denaro in circolazione e, quel poco che gira, costa troppo. Nonostante la Bce abbia abbassato il tasso di interesse allo 0,25%, le banche italiane, invece di prestarlo alle imprese e alle famiglie (e quando lo fanno, le infliggono interessi esorbitanti) preferiscono acquistare i titoli (debito) di Stato su cui applicano un tasso di interesse decuplicato. Ma lo Stato non fa una piega; tanto, paga il popolo!

Debiti su debiti, dunque, e così le famiglie non possono consumare, le aziende non investono, non assumono; anzi, licenziano e chiudono, e le conseguenze sono di una tragicità impressionante: fallimenti, suicidi, ludopatia dilagante e gente ridotta in povertà. Il simbolo di questa crisi è ben rappresentato dal prolificare nelle nostre città di insegne con la scritta “Compro oro”. Insomma, siamo nel bel mezzo di un inaudito sconvolgimento, di un vero e proprio disastroso cambiamento epocale, non compreso ancora da molti.

Credo sia giunto il tempo della “rivolta” contro il potere costituito, l’establishment, l’élite di cui sopra. Non è escluso che si possano correre dei pericoli, ma di certo si aprirebbero nuove e interessanti opportunità. Ha già cominciato Papa Francesco (autentico rivoluzionario), capovolgendo secoli di protocollo, infrangendo riti millenari della chiesa e spiazzando affaristi e sepolcri imbiancati.

Com’è possibile che un paese come l’Italia, che potrebbe essere la nazione leader in Europa per le enormi e infinite potenzialità che può vantare, riesca così miseramente a perdere fiumi di miliardi in scellerati sprechi, in scandalosi costi (più alti del mondo) della politica, in volgari truffe e non sia capace nemmeno di utilizzare i fondi europei (30 miliardi di Euro), perché non sa (o non vuole) finanziare progetti, cantieri, nuove imprese, innovazione tecnologica, ricerca, cultura e così via.

Questa Italia, così, non ci piace. E’ diventata luogo della mala politica, della mafia e della corruzione. E’ orribile, certo, ma questa è la nostra terra. L’unica che abbiamo. Criticarla è giusto, ma non possiamo gettarla via. Dobbiamo piuttosto rimboccarci le maniche e, poco alla volta e ognuno per la propria parte, liberarla dal parassitismo, ripulirla dall’immoralità, renderla più vivibile, più giusta, migliore.

Per fare questo, però, dovremmo smetterla di lamentarci soltanto e agire, finalmente. I giovani soprattutto dovrebbero rinunciare all’idea di allinearsi sulle vecchie “scorciatoie” (tanto, non funzionano più) e smetterla anche con l’autocommiserazione e la rassegnazione. I nostri ragazzi possono giocarsela alla grande, hanno tutte le qualità per competere nel mondo globale, purché siano disposti a studiare di più, prepararsi meglio, di sacrificarsi un po’; magari, all’inizio, accettando di svolgere lavori meno gratificanti di quello per cui hanno studiato o che desiderano fare. Il futuro del nostro Paese è principalmente nelle loro mani e sta a loro riscattarne la dignità, il prestigio e la sovranità; a patto, però, che abbiano un po’ di quel coraggio e spirito di sacrificio che hanno dimostrato i nostri padri nel fare della nostra bella Italia, una grande nazione.

Giovanni Matera

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