Per assonanza al Mito…
“Esiste un solo bene: la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza.” (Socrate).
Dopo anni da apprendista falegname, sono diventato “maestro” anch’io.
Era usanza in quei tempi – siamo negli anni ’70 – che gli adolescenti di umili famiglie frequentassero la scuola e, nello stesso tempo, imparassero un mestiere nelle botteghe artigiane. Infatti, io, come tanti, terminata la scuola elementare, fui avviato da mio padre a bottega.
Conseguito il diploma di maturità e trascorsi alcuni anni ancora a lavorare nella vecchia falegnameria, decisi di mettermi in proprio e, all’età di ventitré anni, diedi inizio alla mia carriera autonoma di artigiano, aprendo così una piccola bottega e mettendo in pratica gli insegnamenti del mio maestro.
Per i primi anni gli affari andarono bene, ma poi cominciai ad avvertire delle difficoltà di varia natura: di mercato, di gestione sia della mia bottega sia della clientela; e intuii da subito che era in atto un cambiamento che richiedeva un nuovo approccio al marketing e una diversa presentazione dei prodotti, rispetto al passato. Di conseguenza capii che bisognava rivedere alcuni insegnamenti del mio maestro – ossia alcuni “attrezzi della cassetta” da lui ereditata – resi ormai obsoleti dalla storia, e sostituirli con dei nuovi. Unitamente a quanto detto, mi resi conto che occorreva soprattutto che io stesso cambiassi mentalità, escogitando un nuovo modo di affrontare le incombenti prove che mi si paravano davanti. E come fare?
L’unica soluzione possibile, pensai, fosse la “Formazione”; e, infatti, ci avevo visto giusto.
Cominciai allora a studiare, a leggere e ricercare fino a che rintracciai una società di formazione (l’Osm management), grazie alla quale – e a tanti altri formatori – migliorarono non solo le mie performance imprenditoriali ma anche la qualità dei miei collaboratori, ottenendo così dei riscontri molto lusinghieri da parte della clientela che andava via e più incrementandosi.
Entusiasta dei buoni risultati raggiunti, pensai che la mia esperienza potesse essere utile anche ai colleghi artigiani e commercianti del territorio, e così iniziai un vero e proprio porta a porta delle aziende locali. L’accoglienza non fu delle migliori – per usare un eufemismo – poiché la stragrande maggioranza di loro mi vedeva, chissà, forse come un invasato posseduto da un demone misterioso. La parola “formazione”, non essendo compresa nel loro vocabolario, gli procurava persino un senso di fastidio che si manifestava in sorrisetti sarcastici – nel migliore dei casi – o in atteggiamenti e commenti poco rispettosi: “Sono tutte chiacchiere”, oppure “È solo una questione di fortuna” e ancora “Ma non vedi che c’è crisi?”. Insomma, secondo loro, ero fuori di testa.
Sicché, presi atto che i miei primi tentativi di dare “una mano”, soprattutto a quei colleghi le cui aziende versavano in condizioni non ottimali, erano miseramente naufragati. Eppure gli avevo dimostrato, con fatti reali e risultati oggettivi, che il mio itinerario formativo fosse facilmente percorribile anche da loro. Ma niente! Quelle porte me le chiusero in faccia.
Ma, nonostante la grande delusione iniziale, e come in tutte le cose in cui credo veramente, non mi arresi! E continuai caparbiamente nella mia opera di persuasione, organizzando seminari e pubblicando anche libri sulla formazione e la ricerca.
Oggi, però – e lo dico con soddisfazione – qualcosa sta cambiando nella mentalità dei suddetti colleghi, perché parecchi di loro stanno facendo il mea culpa, dandomi finalmente ragione su tutto quello che da anni vado sostenendo sulla formazione e la crescita delle aziende, cui è strettamente legato lo sviluppo del nostro territorio.
Tutto questo, per assonanza, mi porta al “Mito della Caverna”, che si trova nel VII libro de La Repubblica, uno dei più celebri dialoghi di Platone che descrive, con immagini metaforiche, l’impervio percorso che deve seguire l’uomo qualunque per elevarsi dalla massa, verso la conoscenza delle idee.
L’immagine è questa:
Dei prigionieri, che rappresentano l’umanità comune e ignorante, si trovano sin dalla nascita in una caverna e sono legati costantemente rivolti verso una sola parete. I prigionieri sono posizionati in modo tale che dietro le loro schiene vi è un fuoco e tra loro e il fuoco si trovano oggetti di ogni genere, statuine e immagini di animali, ogni genere di utensili e figurine di uomini. La luce del fuoco proietta sulla parete davanti ai prigionieri le loro ombre e quelle di tali oggetti facendo credere agli stessi (i quali non hanno mai visto altro nella vita) che si tratti effettivamente di immagini reali.
In questa situazione uno dei prigionieri viene liberato e costretto ad alzarsi di scatto, a volgere la testa e a camminare seguendo la luce. È probabile che questa visione lo spaventi e lo disorienti, abituato com’è al mondo delle ombre. Se poi venisse trascinato con forza verso l’esterno della caverna, sarebbe abbagliato dalla luce e proverebbe dolore.
Quando poco alla volta potrà abituarsi, vedendo le persone, queste le sembreranno meno reali delle ombre che fino allora ha potuto vedere. Ma poi capirà che queste sono vere, allora, dirigerà lo sguardo verso il sole che illumina ogni cosa.
Dopo essersi reso conto della situazione, vorrà senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni. Ma questi, che non hanno potuto avvicinare la realtà, non gli crederanno; anzi, nel vedere il loro amico prigioniero liberato che, a fatica, dopo essersi abituato alla luce del sole, cerca di tornare a vedere nel buio della caverna, ne faranno un oggetto di riso e di scherno e penseranno che non ne valga la pena subire i dolori dell’accecamento per andare ad ammirare le cose descritte.
Il mito della caverna termina con l’uccisione del prigioniero che era stato liberato, ritenuto un pazzo e un pericolo sociale (ciò ricorda da vicino la sorte toccata al filosofo Socrate, maestro dello stesso Platone).
Il mito della caverna è ricco di simbologia e offre un’ampia gamma di interpretazioni vediamone alcuni:
La caverna è l’immagine della condizione umana, da cui non può fuggire chiunque viva solo nella dimensione apparente.
La caverna è rimanere nella zona di comfort, pur sapendo che non ci stai bene, ma si ha paura del nuovo che non si conosce.
Il sole che brilla all’esterno della caverna rappresenta l’idea suprema, quella della conoscenza del bene.
I prigionieri rappresentano, lo abbiamo detto, la maggior parte dell’umanità ignorante e le loro visioni sono opinioni.
L’uomo liberato che, dopo aver visto la luce del sole e aver compiuto un duro esercizio di conoscenza, torna nella caverna per convincere i suoi amici prigionieri e non viene creduto. In questo caso rappresenta il filosofo. (N.B. Lungi dallo scrivente l’idea di volersi, neanche lontanamente, paragonare al sommo Platone).
Il filosofo, quindi, in un’ottica platonica, è colui che deve risvegliare gli altri uomini imprigionati dalle catene dei sensi e dalla falsa conoscenza o assenza di conoscenza per guidarli verso la verità, l’idea del Bene e del sapere.
Ritornare nella caverna significa, per l’uomo, mettere a disposizione ciò che ha appreso ha favore della collettività. Solo tornando nella caverna e cimentandosi nel mondo umano, l’uomo avrà compiuto la sua educazione e diverrà filosofo.
Giovanni Matera
Per consultare altri miei articoli:
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