Non siamo noi a decidere. E neanche i nostri Governi.

Viviamo in un tempo di apparente libertà, dove il diritto di voto e di parola sembrano garantire partecipazione e democrazia. Eppure, c’è un senso diffuso – spesso taciuto ma sempre più palpabile – che le decisioni fondamentali non vengano realmente prese da noi. Né tantomeno dai nostri governi. Come se il centro del potere si fosse spostato, silenziosamente, altrove. Come se il nostro destino fosse scritto da mani invisibili, lontane, insensibili ai veri bisogni della gente.

Nel cuore di questo paradosso ci sono le scelte strategiche che plasmano il nostro presente e, soprattutto, il nostro futuro. Scelte che sembrano rispondere più a logiche di potenza e di mercato, che a esigenze di giustizia sociale o benessere collettivo.

Miliardi per le armi, centesimi per le famiglie. È sufficiente aprire i giornali o ascoltare un notiziario per rendersi conto della sproporzione. Crescono gli stanziamenti per il riarmo. Si moltiplicano le alleanze militari, le esercitazioni belliche, i toni da Guerra Fredda. Ma nello stesso tempo, milioni di famiglie italiane faticano a pagare le bollette, rinunciano a cure mediche, vedono tagliate le ore di sostegno scolastico per i propri figli.

La sanità arranca. La scuola chiede aiuto. La ricerca sopravvive grazie alla passione di pochi. E la giustizia sociale? Sembra ormai solo una voce nei discorsi di chi ancora crede in un’Italia più equa.

Ci si domanda: ma chi decide davvero come usare le nostre risorse comuni? Chi ha stabilito che investire sulla guerra sia più “strategico” che farlo sull’educazione, sulla salute, sull’ambiente?

Il rischio: una deriva che crea nuove disuguaglianze. In questo scenario, il rischio non è soltanto quello economico. È culturale, civile, esistenziale. È il rischio di un Paese che perde la bussola. Che smette di interrogarsi sul senso profondo del suo agire. Che costruisce un futuro fatto di nuove disuguaglianze, nuove paure e vecchie soluzioni, già dimostratesi fallimentari.

Perché, diciamolo chiaramente: la pace non si costruisce con le armi. Non si tutela il futuro con la paura. Non si guida un popolo ignorandone i bisogni essenziali.

Serve invece una visione nuova, radicata nel rispetto delle persone, nella cura dei territori, nella centralità della cultura e della giustizia. Un’Italia che torni a guardare negli occhi i propri cittadini, ad ascoltarne la voce, a costruire soluzioni concrete, non a subire imposizioni da potenze esterne o da logiche economiche che nulla hanno a che fare con il bene comune.

Educazione, equità, partecipazione: i veri pilastri della pace. La pace – quella vera – è frutto di un lungo lavoro silenzioso. Nasce sui banchi di scuola, nei consultori, nelle biblioteche, nei centri sportivi di periferia. Si coltiva attraverso politiche sociali intelligenti, attraverso l’inclusione, attraverso la valorizzazione del talento e della dignità di ogni essere umano.

Non possiamo più accettare un modello di sviluppo che si regge sulla paura e sulla disuguaglianza. Non possiamo più delegare le scelte fondamentali a entità lontane, tecnocratiche, prive di radicamento umano.

Abbiamo il dovere morale – e direi anche spirituale – di alzare la voce, con rispetto ma con coraggio. Di pretendere che chi ci rappresenta risponda a noi, e non a interessi opachi. Di chiederci, ogni giorno: sto contribuendo a costruire un mondo più giusto, o sto soltanto sopravvivendo in uno che altri hanno disegnato per me?

Un’Italia che ha bisogno di ascolto. In questo momento storico così delicato, abbiamo bisogno di una rivoluzione silenziosa, ma radicale: quella dell’ascolto.

Un ascolto che parta dalle periferie, dai giovani, dagli insegnanti, dai lavoratori. Un ascolto che non si limiti ai sondaggi o ai talk show, ma che entri nelle case, nei cuori, nelle speranze delle persone. Solo da lì può nascere una politica vera, capace di servire, non di dominare.

Un’Italia giusta e consapevole non è un sogno. È un progetto collettivo, che ha bisogno della voce di tutti. Anche della tua.

Se anche tu credi in tutto questo… Se anche tu senti che è arrivato il momento di dire basta a un sistema che ignora la dignità, la cultura, la cura… se anche tu desideri un’Italia più umana, più coraggiosa, più vera… allora non restare in silenzio.

Il cambiamento nasce da piccoli gesti. E da una voce che sceglie di non tacere.

Giovanni Matera

Per consultare altri miei articoli:

www.giovannimatera.it

 

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