E se vivessimo il tempo presente?
Tanzan ed Ekido, due monaci zen itineranti, camminano insieme per una strada fangosa. Piove a dirotto. Dopo una curva incontrano una bella ragazza in chimono e sciarpa di seta che non può attraversare la strada.
“Vieni, ragazza” dice Tanzan. Poi la prende in braccio e la porta oltre le pozzanghere.
Ekido non dice nulla, finché alla sera non raggiungono un tempio dove passare la notte. Allora non riesce più a trattenersi. “Noi monaci zen non avviciniamo le donne – dice a Tanzan – e meno che mai quelle giovani e carine. E` pericoloso. Perché l’hai fatto?”… “Io quella ragazza l’ho lasciata laggiù. – risponde Tanzan – Tu la stai ancora portando con te?”.
(Tratto da “101 Storie Zen”, n. 14 “La strada fangosa” di Nyogen Senzaki e Paul Reps – ed. Adelphi)
Raramente le persone si comportano come Tanzan. La nostra mente vaga costantemente sulla linea del tempo: siamo così proiettati sul passato, cioè su ciò che è accaduto, o sul futuro, cioè quello che potrebbe accadere, che perdiamo la capacità di vivere e goderci il presente.
Ripensando al passato c’è chi si focalizza sempre su ciò che avrebbe potuto fare di più rispetto a ciò che ha effettivamente fatto, anche quando le cose vanno bene.
Questo è un gioco da cui se ne esce sempre perdenti, perché è chiaro che per ogni cosa che fai, ne puoi individuare altre cento, mille, un milione che non hai fatto!
I ricordi di torti subiti in passato, spesso inacidiscono la vita e indeboliscono il corpo di persone che non riescono a perdonare e a lasciar andare.
L’incapacità di perdonare è stata definita “il più spietato killer silenzioso del mondo occidentale”. Da essa possono avere origine cardiopatie, cancro, nonché l’indebolimento del sistema immunitario ed è proprio dalla combinazione di queste tre patologie che scaturisce la maggior parte delle morti premature nella nostra società. La gente spesso si affeziona alle proprie “zavorre”, perché fanno parte della “zona di confort”. Prendiamo dal passato, lezioni per il futuro (cosa possiamo fare meglio) e ricordi piacevoli che ci fanno stare bene e lasciamo andare le zavorre!
Alcuni studi dicono che mediamente un ragazzo giunto all’età di 16 anni si è già sentito dire almeno 250.000 volte ciò che non si può fare. Pensate che abbia avuto lo stesso numero di messaggi riguardo a ciò che può fare? Probabilmente nemmeno la decima parte… È come prendere un filo di cotone lungo un metro e tirarlo con forza, cosa accade? Già si spezza facilmente, se poi aggiungiamo un altro filo al primo? E se poi ne aggiungiamo un terzo? E un quarto, un quinto, un decimo… un cinquantesimo e così via? A un certo punto quei semplici filamenti diventeranno una robusta corda che non sarà più possibile spezzare. I fili di cotone sono i messaggi, i condizionamenti, le azioni ripetute tante volte fino a quando diventano un’abitudine.
Anni e anni di condizionamento da parte della famiglia e della società, basati su ciò che non si deve fare e sulle conseguenze negative di ciò che accadrebbe se malauguratamente lo facessimo, hanno modificato il nostro modo di pensare e di approcciare le situazioni. Così, poco alla volta, iniziamo a focalizzarci sul potenziale dolore e abituiamo la nostra mente a pensare, come prima cosa, a “cosa potrebbe succedere se” e, giorno dopo giorno, evitare il dolore diventa sempre più il nostro pensiero fisso.
Poiché siamo stati educati con la paura, è assolutamente normale per noi esseri umani preoccuparci ed è talmente normale farlo che, a furia di usare questo verbo, non ci rendiamo conto che il verbo stesso è un non senso linguistico! Non è possibile “pre”occuparsi: o ci si occupa di qualcosa o non ci si occupa! Se stai leggendo un libro ed io ti dicessi di “prechiudere” il libro che hai tra le mani, oppure di “prealzarti” da dove sei seduto, mi prenderesti per pazzo, giusto?
Non vuol dire niente “prechiudere” o “prealzarsi”: o chiudi il libro o non lo chiudi, o ti alzi o non ti alzi! Non si può “pre-fare” qualcosa, o la si fa o non la si fa!
Molte persone vorrebbero apportare dei cambiamenti a se stesse o alle proprie vite, pensando a un nuovo lavoro o ad un altro modo di essere che le farebbero stare bene, ma poi evitano di farlo perché si lasciano condizionare dalle loro stesse preoccupazioni.
Lo ripeto: lasciamo andare le zavorre!
Quanto più riusciamo ad affrontare anche il senso di insicurezza, tanto più saremo agenti del nostro cambiamento e artefici del nostro destino. L’essere umano, quando è ancora “puro”, quando non ha ancora subito i condizionamenti dell’ambiente circostante, quando non ha ancora installato, nel suo essere le “regole” che determineranno la sua visione del mondo, è felice naturalmente.
I bambini ci insegnano a… vivere nel presente e godere di ciò che stiamo facendo!
Giovanni Matera
Per consultare altri miei articoli:
www.giovannimatera.it