Destra e sinistra stessa cecità

Che l’ideologia comunista fosse materialistica, atea e anti-cristiana, si sapeva. I suoi sostenitori lo dichiaravano apertamente. Ma non era meno materialista la concezione del mondo espressa dalle correnti politico-culturali, liberali e liberiste contrapposte al comunismo che, pur non dichiarandosi atee o addirittura rivendicando di essere cattoliche, ponevano come fine delle attività economiche la crescita della produzione di merci, poiché questo induceva a credere che al continuo incremento della produzione sarebbe seguito un consumo sempre maggiore, e ciò avrebbe dato un “senso alla vita”.

Nell’allora Democrazia Cristiana confluirono i rappresentanti della borghesia industriale e agraria, i dirigenti delle aziende a partecipazione statale, dalle amministrazioni pubbliche agli istituti bancari. Le scelte politiche perseguite da questo partito rispondevano all’esigenza della classe medio/alta: accelerare lo sviluppo industriale del paese, che era presentato come un fattore di crescita e di modernità. Il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche gli consentì di ottenere un ampio consenso tra le classi popolari, riducendo così le adesioni alle rivendicazioni sindacali e alle proposte formulate dalle sinistre. Infatti, non è alla religione che va attribuita la frase: “La religione è l’oppio dei poveri” ma all’uso che della religione ne è stato fatto dal potere.

Naturalmente non furono prese in considerazione né dalla sinistra né dalla destra, né tantomeno dalla chiesa le problematiche sociali che lo sviluppo industriale avrebbe causato, le gravi forme di inquinamento e le devastazioni ambientali che avrebbe provocato, le sofferenze e le lacerazioni che sarebbero derivate dai flussi migratori che avrebbe attivato. Quello che interessava era soltanto la crescita della produzione di merci.

Il mondo industriale, sia nella variante liberale/liberista, con la condivisione culturale della componente socialdemocratica della sinistra, sia nella variante “socialismo reale”, sia nella variante fascista ha utilizzato leggi inique e potenti strumenti di persuasione di massa (Forze Armate e violenza illegale) per aumentare il numero dei consumatori, costringendo o convincendo grosse percentuali di popolazione ad abbandonare l’economia di sussistenza (l’autoproduzione e gli scambi non mercantili fondati sulla reciprocità) in modo che non avessero altra possibilità di procurarsi i beni necessari a soddisfare le esigenze vitali, se non vendendo la propria capacità di lavorare in cambio di un reddito che li mettesse in condizione di poterli comprare.

Insomma, l’unico interesse era che la produzione crescesse sempre di più e, tra la fine degli anni ’50 e i primi del ’60, la crescita fu davvero notevole tanto che il PIL fece registrare degli incrementi annui superiori al 6%. Ma per aumentare ancora il numero dei consumatori e il consumo di merci, gli industriali non ebbero altra scelta che prelevarli dalle categorie sociali che non avevano bisogno di comprare tutto ciò che serviva per vivere, per cui non erano costrette a vendere la propria capacità di lavorare in cambio dello stipendio. Parliamo dei piccoli contadini proprietari di modesti appezzamenti di terra sufficienti, però, a soddisfare gran parte del fabbisogno delle proprie famiglie e a ricavarne anche eccedenze da vendere e avere il denaro per comprare ciò che non producevano. Contadini mezzadri che in cambio del loro lavoro non ricevevano denaro, da parte dei proprietari, ma una quota dei beni agricoli che producevano e l’uso gratuito delle abitazioni rurali. Proprietari di Masserie che pur gestendo con profitto le loro aziende, preferirono vendere le proprie capacità all’industria in cambio di un reddito fisso. E da noi al sud, specie in provincia di Taranto, vi è stato un vero e proprio esodo dalle campagne di molti proprietari che scelsero di fare i dipendenti dell’Italsider piuttosto che amministrare le proprie aziende agricole. A questi seguirono anche molti Maestri artigiani che avrebbero potuto trasmettere la loro professionalità a tanti giovani, e invece chiusero le loro attività in favore del “posto fisso, senza problemi” e si fecero assumere da grandi aziende come la Ferrosud e altre industrie. Il “prelievo” si estese anche agli abitanti dei piccoli paesi in cui l’autoproduzione dei beni, gli scambi non mercantili basati sul dono del tempo e la reciprocità, i rapporti comunitari e la solidarietà consentivano di ridurre al minimo la mercificazione e l’uso del denaro.

Immaginiamo ora, se tutte queste professioni e mestieri fossero rimaste al loro posto? Quanta economia autonoma e quanta occupazione in più ci sarebbero ora nel nostro territorio, oltre che avremmo conservato un ambiente più sano e più pulito?

Nei confronti delle suddette categorie, tra le quali persisteva in misura significativa un’economia di sussistenza, le due principali componenti della destra e della sinistra hanno scatenato una guerra di annientamento che si è conclusa con il loro genocidio. Come tutte le guerre anche questa è stata combattuta non solo con le armi ma anche con la propaganda, la disinformazione, le falsificazioni storiche con cui i vincitori hanno dipinto se stessi come i sostenitori della giusta causa, ossia della razionalità, del progresso, del benessere e i nemici come forze del male, come individui ottusi culturalmente arretrati e pregiudizialmente ostili all’innovazione.

In Italia, dagli anni ‘50 agli anni ‘80 del secolo scorso, questo processo è stato guidato da governi di centro/destra egemonizzati dalla Democrazia Cristiana ed è stato sostenuto dalle due principali varianti della sinistra: Partito Socialista e Partito Comunista. Le componenti politiche si concentrarono solo su criteri di distribuzione del reddito prodotto dalla crescita economica. Né le destre né le sinistre hanno mai preso in considerazione i problemi causati dalla crescita della produzione di merci. Oltre che dalla stessa visione del mondo, erano accumunate dalla stessa cecità.

A cinquant’anni di distanza, Papa Francesco nell’enciclica “Laudato sì” capovolge la visione antropocentrica sostenuta da Paolo VI, affermando che tutto il mondo è intimamente connesso, che le altre specie viventi non sono risorse a disposizione della specie umana, ma hanno la loro necessità e la loro dignità, che il male fatto a ognuno di esse si ripercuote su tutte le altre, esseri umani compresi in particolare sui più poveri. Un’ubriacatura collettiva durata cinquant’anni con gli occhi dei partiti di desta e di sinistra, degli industriali, dei sindacati, degli economisti, dei giornalisti e della stessa chiesa cattolica, fissi sul PIL (prodotto interno lordo) anziché sul BIL (benessere interno lordo) che si guardavano attorno e si “preoccupavano” per l’estendersi della devastazione. Questa apertura di Papa Francesco indica un nuovo inizio, secondo la Carta della Terra approvata all’Aia nel 2000, il destino comune ci obbliga a cercare.

Giovanni Matera

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