Il costo della tranquillità: quando smettiamo di pensare.

Viviamo in un’epoca che proclama la libertà come diritto assoluto, ma che al tempo stesso ci invita, con dolcezza e discrezione, a smettere di pensare. Non ci impone, non ci vieta, non ci punisce. Seduce. E lo fa con una promessa allettante: tranquillità, benessere, comodità. Ma a quale prezzo?

 (Paolo Crepet)

Paolo Crepet, con la sua penna lucida e provocatoria, ci guida in un viaggio controcorrente, svelando una delle derive più insidiose del nostro tempo: il conformismo gentile. Invisibile, pervasivo, si insinua nei gesti quotidiani, nei linguaggi, nelle scelte che non facciamo più. È la comfort zone, quel luogo dove non si sbaglia… ma nemmeno si cresce.

La libertà non è un divano comodo. La libertà, ci ricorda Crepet, non è uno slogan da sventolare. È un esercizio faticoso, quotidiano, che richiede coraggio, lucidità, disobbedienza. È il dubbio, l’immaginazione, il conflitto. Eppure, oggi, ogni volta che accettiamo qualcosa che ci semplifica la vita, barattiamo un pezzetto della nostra autonomia. Il prezzo? La rinuncia al pensiero critico.

Un tempo i bambini giocavano all’aperto, nei cortili, nei campetti. Oggi, parcheggiati nelle loro camerette, tra PlayStation e tablet, non prendono freddo né caldo. Ma non imparano nemmeno a perdere, a vincere, a relazionarsi. Crescono assistiti, riveriti, convinti che ogni problema sarà risolto da un adulto. E così, non scoprono mai il proprio talento.

Il pensiero nasce dalle emozioni. Il pensiero non è un automatismo biologico. Non cresce da sé. Si nutre di emozioni, di esperienze, di errori. E proprio l’errore, il fallimento, la sconfitta sono diventati tabù. Genitori “badanti” e insegnanti ansiosi tolgono ai giovani la possibilità di sbagliare, di rialzarsi, di scoprire la gioia di aver superato una difficoltà.

Questa iper protezione genera dipendenza, insicurezza, malessere. I ragazzi soffrono, si sentono smarriti, cercano risposte negli psicologi. Ma il problema è più profondo: è il crollo dell’autorevolezza genitoriale e scolastica. È la rinuncia all’educazione al pensiero.

Geolocalizzati, sorvegliati, silenziati. Siamo nati e cresciuti geolocalizzati, spiati, registrati. Ogni gesto è tracciato, ogni parola monitorata. E mentre la tecnologia ci connette, ci disconnette dal nostro pensiero. I genitori, immersi negli smartphone, non possono pretendere che i figli imparino a decidere da soli. Come potrebbero?

La verità è che “non pensare” non è solo impossibile. È dannoso. Il pensiero è lo strumento che ci permette di prevedere, di immaginare, di proteggere il nostro futuro. E proprio per questo fa paura. Perché chi pensa è libero. E chi è libero non si lascia controllare.

Il pensiero unico è una prigione dorata. Il potere, da sempre, teme il pensiero indipendente. Quello che disobbedisce, che critica, che propone alternative. E oggi, più che mai, si finanziano lobby che mirano a demolire il pensiero altrui. Non con la censura esplicita, ma con l’auto-censura. Chi scrive, chi parla, si frena. Non per paura di una punizione esterna, ma perché ha interiorizzato il veto.

Il risultato? Un mondo dove sapienti e ignoranti sono messi sullo stesso piano. Dove la sfiducia dilaga. Dove le relazioni affettive, amicali, sociali si sgretolano. Dove diventiamo lupi solitari incapaci di riconoscere il nostro branco.

Serve coraggio. Serve pensiero. Serve disobbedienza. Il mondo ha bisogno di giovani coraggiosi. Di educatori audaci. Di genitori consapevoli. Di cittadini che non si accontentano della tranquillità, ma che scelgono la fatica del pensiero. Perché solo chi pensa può cambiare il corso delle cose. Altrimenti, sarà il corso delle cose a cambiare noi.

Viviamo tutti connessi, ma ignoriamo quanto questa connessione stia impoverendo la nostra creatività, la nostra innovazione. E questo, prima o poi, ci costerà caro. La democrazia non è compatibile con il pensiero unico. Non è compatibile con l’omologazione. Non è compatibile con la rinuncia al dubbio.

Conclusione: il pensiero è libertà. Il pensiero è scomodo. È faticoso. È rischioso. Ma è anche l’unico strumento che ci rende davvero liberi. Non lasciamoci sedurre dalla tranquillità. Non rinunciamo alla nostra voce. Non smettiamo di pensare.

Giovanni Matera

Per consultare altri miei articoli:

www.giovannimatera.it

 

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