Usciamo dal labirinto

A farsi tante domande, a  volte, si finisce per perdere tempo. Sappiamo bene di essere in una fase storica di radicale cambiamento; ora il problema che si pone è subirlo o cavalcarlo?

“La seconda che hai detto”, diceva un bravo comico; anche se la situazione non è affatto divertente.

I grandi cambiamenti, naturali o indotti, fanno parte dei corsi e ricorsi della storia: arrivano a nostra insaputa e, spesso, contro la nostra volontà.

Io penso che i cambiamenti vadano sempre e comunque cavalcati e non subiti; neanche quando, adeguarsi sembrerebbe l’unica scelta possibile. Bisogna piuttosto sforzarsi di capirne le ragioni e individuarne le responsabilità di questi cambiamenti, se non si vuole finire in labirinti ancora più contorti e oppressivi. La maggior parte della gente è portata all’accettazione passiva, alla rassegnazione malinconica dei cambiamenti. C’è poi una minoranza che sviluppa una buona capacità di adattamento allo stato delle cose; ma neanche questo è sufficiente per il raggiungimento dell’autodeterminazione individuale e la realizzazione dei propri sogni.

In un precedente articolo abbiamo parlato della “sorpresa” e del disagio che genera un cambiamento, usando una simpatica metafora, “Dov’è finito il mio formaggio”, una piccola storia di alcuni topolini. Adesso ve ne narrerò un’altra un po’ più coraggiosa, riguardante ancora una volta dei roditori.

 

Max sin da piccolo poneva domande circa le caratteristiche del labirinto in cui viveva. Gli era stato spiegato che il labirinto era un dato di fatto e perciò non serviva fare domande, bisognava piuttosto correre il più velocemente possibile per arrivare al formaggio. Ritenere di poter fare diversamente era indice di arroganza ma Max, a differenza degli altri, smise di porsi domande e pur sapendo che il labirinto avesse confini e muri senza varchi in mezzo, cominciò a maturare l’idea che da quel labirinto se ne potesse uscire, e cominciò a pensare come.

Nei giorni successivi provò in svariati modi a scavalcare uno dei tanti muri, ma non ci sarebbe mai riuscito senza all’aiuto di Big (il topo più robusto di tutto il labirinto). Big non era nemmeno consapevole di vivere in un labirinto, ma saputo del piano di Max, si propose di aiutarlo. Infatti, gli fece da trampolino e lo lanciò di là dal muro. Ecco fatto, un topo era fuori dal labirinto.

<<Ci sono altre creature simili a noi, ma più grandi, là fuori – disse Max, rivolgendosi a Big – Si chiamano umani. Alcuni di essi hanno creato questi labirinti per i loro profitti e piaceri >>.

Max era ansioso di raccontare tutto anche a Zed (ritenuto da tutti un saggio con il dono dell’ascolto) di quello che aveva scoperto. <<Sai – cominciò Max – Il nostro mondo, quello che noi diamo per scontato, non è per nulla scontato. Non al di fuori del labirinto. Il nostro è stato progettato in modo da rispondere alle esigenze e agli interessi di chi detiene il controllo. Sono gli umani a plasmare il nostro ambiente: fissano le regole cui dobbiamo attenerci ed elargiscono premi e punizioni. Possono farlo perché noi siamo solo dei topi in un labirinto; e per un topo che vive in un labirinto, l’unica cosa che conta è il formaggio>>.

<<Grazie di avermi raccontato la tua storia – rispose Zed – Sei un topo come nessun altro; ma come hai fatto a uscire dal labirinto?>>.

<<Con l’aiuto di Big ho scavalcato il muro e mi sono ritrovato fuori >>.

<<D’accordo – ribatté Zed – ma perché sei l’unico topo che sia mai uscito dal labirinto, soltanto perché Big era lì? Come sei arrivato a quel punto della tua vita?>>.

Max ci pensò su un momento, e rispose: <<Ero l’unico che voleva uscire veramente dal labirinto>>.

<<Allora qual è, in essenza, il motivo del tuo successo?>> aggiunse Zed.

<<La mia decisione, la mia visione, la mia determinazione. L’aver immaginato di poter fuggire e rendermi libero. Non ho pensato al labirinto o alle sue pareti, come fanno quasi tutti gli altri>> rispose Max.

<< Sì, certamente – aggiunse Zed ogni cosa che accade, o che facciamo, deriva dai nostri pensieri. Ciò che ci permette di passare dal problema all’analisi, alla soluzione è la risolutezza della mente. Questa e la spiegazione di tutto. Non esiste continuità fisica, da nessuna parte, tutto proviene dalla tenacia della mente. Caro Max, quando ti sei spinto più in là di ogni altro topo, hai rifiutato di sottometterti a regole e vincoli che altri avevano accettato, sei riuscito a formulare un pensiero basato sulla consapevolezza, la possibilità e la convinzione di potercela fare. E così hai cominciato a metterlo in pratica. Hai ignorato qualunque cosa fosse un “dato di fatto” e il labirinto è scomparso>>.

Bene, credo che questa storiella non abbia bisogno di alcuna spiegazione; è una versione più modesta e ironica (mi si perdoni l’accostamento) della Caverna di Platone, con cui intendo rivolgere un invito e un incoraggiamento per tutti, imprenditori e non, ma soprattutto alle nuove generazioni, a inclinare il piano, a sfidare i “dati di fatto”, i preconcetti… a scavalcare quelli odiosi muri e uscire finalmente dai nostri labirinti.

A questo proposito mi viene in mente una bella scena del film La ricerca della felicità, di G. Muccino, in cui il padre dice al figlio: Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa… neanche a me! Ok?

 

 

                                                                                                   Giovanni Matera

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